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Cina sfida i dazi di Trump: “Abbiamo risorse per resistere”

- di: Jole Rosati
 
Cina sfida i dazi di Trump: “Abbiamo risorse per resistere”

Li Qiang rilancia al vertice Brics: più apertura, più Sud globale, più innovazione. Pechino prepara contromisure mentre l’Occidente si chiude.

(Foto: Li Qiang, primo ministro della Repubblica popolare cinese).

Pechino si prepara alla guerra dei dazi. Ma con stile.

Non ci sono toni accesi né minacce esplicite, ma il messaggio lanciato dal premier cinese Li Qiang al vertice dei Brics riuniti a margine dell’incontro con la direttrice del WTO è chiarissimo: la Cina non subirà passivamente l’ondata di protezionismo americano. Anzi, intende rilanciare. “Difenderemo i nostri diritti e i nostri interessi, sostenendo l’equità e la giustizia a livello globale”, ha affermato Li.

Sotto attacco per via dei nuovi dazi statunitensi, soprattutto nel settore tech e green, Pechino non arretra. E non si limita a difendersi: promette aperture “unilaterali e volontarie”, incentivi al commercio e una spinta sui settori emergenti con la creazione di un centro di ricerca Brics sulle “nuove forze produttive di qualità”. Una mossa tanto diplomatica quanto strategica, che mette in difficoltà la narrativa trumpiana sull’isolamento della Cina.

Il messaggio a Trump: non ci piegheremo al protezionismo

Il riferimento alle “pressioni esterne negative” è un modo elegante per indicare i dazi imposti dagli Stati Uniti a guida Trump, che dal gennaio 2025 hanno colpito con nuove tariffe un’ampia gamma di beni cinesi, dai pannelli solari ai veicoli elettrici. Un attacco aperto al cuore della manifattura high-tech cinese, che però non coglie Pechino impreparata.

“Abbiamo abbondanti risorse per contrastare questi impatti e continueremo a perseguire uno sviluppo economico sano e costante”, ha detto Li. Parole misurate, ma dietro c’è una strategia di lungo periodo: evitare lo scontro diretto sul piano retorico, ma consolidare alleanze alternative e investire sull’attrattività sistemica della Cina per i Paesi emergenti.

Il premier ha ribadito che “l’unilateralismo e il protezionismo stanno destabilizzando l’ordine economico globale”, esortando i Paesi in via di sviluppo a “rafforzare la coesione”. Un chiaro richiamo a una leadership Brics più assertiva, alternativa al G7, e al Sud globale come nuova arena geopolitica decisiva.

La replica soft power della Cina: apertura, ricerca e Sud globale

Mentre Washington alza muri commerciali, Pechino apre porte. L’annuncio di Li Qiang sull’istituzione di un centro di ricerca Brics per l’innovazione tecnologica e industriale è tutt’altro che secondario. Il centro studierà e promuoverà le cosiddette “nuove forze produttive di qualità”, un concetto che in Cina indica l’ibridazione tra intelligenza artificiale, manifattura avanzata, economia digitale e sostenibilità.

Un’iniziativa che rientra perfettamente nella nuova fase della strategia cinese post-pandemia: meno dipendenza dalla domanda esterna, più capacità endogena di innovazione e, soprattutto, una cornice multilaterale per contrastare la supremazia tecnologica dell’Occidente. A guidare questa visione non è più solo Xi Jinping, ma una squadra di governo che gioca la carta della stabilità e della modernità.

Brics 2025: da alleanza informale a blocco geopolitico?

Il 17º vertice dei Brics (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica) segna una tappa importante. L’incontro si è svolto in un clima di convergenza tra economie che, sebbene differenti, condividono un obiettivo: riequilibrare i rapporti globali e ridurre la dipendenza dai mercati e dalle monete occidentali. È proprio Pechino a spingere per un salto di qualità del gruppo, in particolare in ambito tecnologico e produttivo.

Il nuovo centro di ricerca Brics è visto da molti analisti come un embrione di un’“Omc parallela”, un’infrastruttura pensata per offrire soluzioni alternative in caso di stallo o boicottaggi nel sistema multilaterale tradizionale.

La stampa cinese: “La vera forza è l’apertura”

La narrativa interna rilanciata dai media di Stato è tutta orientata a rovesciare lo schema Usa = libertà e apertura, Cina = controllo e chiusura. “La Cina dimostra con i fatti di essere un attore responsabile e aperto al mondo”, scrive oggi il China Daily, mentre il Global Times attacca il protezionismo americano definendolo “un boomerang per l’economia globale e per le stesse imprese statunitensi”.

Secondo il think tank cinese CASS, i dazi Usa avranno un impatto “contenuto” sul PIL cinese, grazie alla diversificazione degli scambi con Asia, Africa e America Latina, oggi in crescita a doppia cifra rispetto al 2022.

L’economia cinese rallenta, ma tiene

Nonostante la pressione esterna e un contesto internazionale instabile, l’economia cinese non è in crisi. I dati indicano una crescita del PIL del +4,7% nel secondo trimestre 2025, leggermente sopra le attese. Le esportazioni verso i Paesi Asean e il Medio Oriente stanno compensando in parte il calo verso gli Stati Uniti e l’Ue.

Anche l’industria sta reagendo: gli investimenti in robotica, chip, batterie e semiconduttori crescono a ritmi record (+18% nei primi sei mesi del 2025), segno che la Cina non intende rinunciare alla leadership industriale high-tech.

La vera partita si gioca sul piano globale

Il punto centrale, però, è geopolitico. Se gli Stati Uniti di Trump puntano a isolare la Cina, Pechino punta a far pesare il proprio modello in un mondo che guarda sempre meno all’Occidente come centro unico. Lo ha spiegato efficacemente Shi Yinhong, professore di relazioni internazionali alla Renmin University: “Non è più tempo di giocare secondo le regole di altri. La Cina vuole costruire una rete di relazioni che non dipendano da Washington”.

Il messaggio del premier Li, pur nella sua forma misurata, è inequivocabile: i Brics non sono più un club simbolico. Sono l’alternativa. E la Cina è pronta a guidarla.

Il futuro dell’ordine commerciale non è scritto

Il confronto tra Stati Uniti e Cina è solo all’inizio. Ma l’atteggiamento dei due giganti è diametralmente opposto: mentre l’America si chiude, la Cina si apre (selettivamente), scommettendo sul soft power, sulla scienza e sull’inclusione dei Paesi emergenti. I prossimi mesi diranno se questa strategia pagherà. Ma a Pechino, oggi, sembrano convinti di sì.

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