Cgia: le procedure amministrative complessive costano alle imprese italiane 103 miliardi l’anno

- di: Barbara Leone
 
Si stima che in Italia vi siano circa 160 mila norme, di cui poco più di 71 mila approvate a livello nazionale e le rimanenti 89 mila promulgate dalle Regioni e dagli Enti locali. Un groviglio legislativo che è 10 volte superiore al numero complessivo, pari a 15.500, di provvedimenti di legge presenti in Francia (7.000), in Germania (5.500) e nel Regno Unito (3.000). A segnalarlo è l’Ufficio studi della Cgia, sottolineando che l’eccessiva proliferazione del numero delle leggi presenti in Italia è in larga parte ascrivibile a due fattori: alla mancata soppressione di leggi concorrenti, una volta che una nuova norma viene approvata definitivamente; al sempre più massiccio ricorso ai decreti legge che, per la loro natura, richiedono l’approvazione di ulteriori provvedimenti (decreti attuativi). Questa sovraproduzione normativa ha ingessato il funzionamento della Pubblica Amministrazione (PA) con ricadute pesantissime soprattutto per gli imprenditori di piccole dimensioni. Di fronte a questo dedalo normativo il peso della burocrazia e i ritardi decisionali in capo agli uffici pubblici hanno reso la nostra PA tra le meno efficienti d’Europa.

Cgia: le procedure amministrative complessive costano alle imprese italiane 103 miliardi l’anno

Il cattivo funzionamento della macchina pubblica provoca degli oneri in capo alle imprese molto pesanti. Secondo alcune stime, nell’anno precedente all’avvento del Covid l’espletamento delle procedure amministrative richieste dalle istituzioni pubbliche al sistema delle imprese italiane ha sottratto a queste ultime ben 550 ore di lavoro che, tradotte in euro, equivalgono ad un costo complessivo pari a 103 miliardi di euro, di cui 80 sulle spalle delle Pmi e 23 su quelle delle grandi imprese. Oltre a essere tantissime e in molti casi in contraddizione tra loro, queste leggi sono tendenzialmente scritte male e incomprensibili ai più, per cui applicarle è molto difficile. Questa situazione di incertezza e di confusione interpretativa ha rallentato l’operatività degli uffici pubblici. Di fronte a un quadro così deprimente, i dirigenti pubblici acquisiscono sempre più potere quando stabiliscono scientemente di rinviare o bloccare una decisione. Con tante regole, la discrezionalità dei funzionari aumenta e, conseguentemente, anche le posizioni di rendita di questi ultimi, salgono al crescere del valore economico del provvedimento da deliberare. Un corto circuito che in molti casi innesca comportamenti corruttivi o concussivi, purtroppo, molto diffusi in tutta Italia.

Innanzitutto, secondo l’Ufficio studi della Cgia, bisogna diminuire le norme presenti nel nostro ordinamento. Altresì, è necessario che queste leggi siano scritte meglio, cancellando le sovrapposizioni esistenti tra i vari livelli di governo, bandendo il burocratese e imponendo, in particolar modo, un monitoraggio periodico sugli effetti che queste producono, soprattutto in campo economico. E’ altresì necessario semplificare le procedure e introdurre controlli successivi rigidissimi, incentivando il meccanismo del silenzio-assenso, senza dimenticare che bisogna digitalizzare i processi produttivi di tutti i soggetti pubblici, obbligando il dialogo tra le loro banche dati per evitare la duplicazione delle richieste che periodicamente travolgono cittadini e imprenditori ogni qual volta si interfacciano con uno sportello pubblico. Infine, come ha proposto il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, bisogna abolire l’ abuso d’ufficio. Nonostante l’intervento legislativo introdotto dal governo Conte 2, non sta venendo meno il ricorso alla “burocrazia difensiva” da parte di molti funzionari pubblici, perché la misura legislativa non incide sulle denunce, che una volta presentate, impongono di condurre le indagini. Tale situazione continua a provocare la cosiddetta “fuga dalla firma”, rallentando enormemente lo smaltimento delle pratiche nell’edilizia, nell’urbanistica e nel settore degli appalti. Per contro, infine, vanno premiati i dirigenti/funzionari che si comportano correttamente e rendono efficienti le proprie aree di lavoro: l’aumento della produttività, anche nel pubblico, va riconosciuto economicamente. Con 145 misure nuove o modificate, il nuovo PNRR si focalizza su settori chiave quali la giustizia, gli appalti pubblici e la concorrenza, mirando a potenziare la resilienza e la competitività dell’Italia nel contesto europeo e globale. Questo comporterà un incremento degli investimenti che interesseranno anche la PA, in particolar modo: la giustizia; i contratti pubblici; la concorrenza; i ritardi di pagamento.

Sono altresì previste anche le seguenti nuove riforme che coinvolgeranno questi comparti: la coesione; le reti e le infrastrutture; la riqualificazione dei lavoratori pubblici; la salute. Alcuni studi dimostrano che in Italia la produttività media del lavoro delle imprese private è più elevata nelle zone con una Amministrazione pubblica più efficiente. Non solo. L’inefficienza della PA ha un impatto economico negativo maggiore per le piccole imprese piuttosto che per le grandi, ostacolando, in particolar modo, gli investimenti. L’Amministrazione finanziaria e i trasporti sono i settori maggiormente sensibili per le imprese; nelle province dove questi due settori sono di maggiore qualità, anche la produttività del lavoro a livello di impresa è più alto. Quelle meno a Caltanissetta, Crotone e Vibo V. L’Institutional Quality Index (IQI) è un indice che misura la qualità delle istituzioni pubbliche presenti in tutte le realtà territoriali italiane. Lo stesso è stato concepito nel 2014 dall’Università degli Studi di Napoli Federico II. Questo misuratore assume un valore che va da 0 a 1; a differenza di altri che si basano sulle percezioni dei cittadini, quello redatto dai docenti napoletani fa riferimento a dati oggettivi e considera i servizi pubblici, l’attività economica territoriale, la giustizia, la corruzione, il livello culturale e la partecipazione dei cittadini alla vita pubblica. Recentemente è stato aggiornato al 20195 . Il risultato che emerge dall’applicazione di questo parametro ci consegna un Paese spaccato a metà; se i livelli di eccellenza più elevati della nostra PA a livello territoriale si concentrano prevalentemente al Nord, quelli più modesti, invece, si trovano al Sud. La realtà territoriale più virtuosa d’Italia è Trento, con indice IQI 2019 pari a 1; rispetto a 10 anni prima la provincia trentina ha recuperato 2 posizioni a livello nazionale. Seguono al secondo posto Trieste e al terzo Treviso. Appena fuori dal podio scorgiamo Gorizia, Firenze, Venezia, Pordenone, Mantova, Vicenza e Parma. Insomma, nei primi 10 posti, ben 8 province appartengono alla macro area del Nordest. In coda, infine, notiamo Catania, Trapani, Caltanissetta, Crotone e Vibo Valentia che, purtroppo, occupa l’ultima posizione.

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