Si è svolto all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano l’incontro dal titolo “Le dinamiche delle infiltrazioni criminali nell’economia: rischi e rimedi” che pone l’accento su quanto non sia più possibile comprendere la criminalità organizzata senza studiarne le sue manifestazioni imprenditoriali. Importanti, in questo senso, gli strumenti sviluppati dal Centro di ricerca Transcrime e utilizzati da autorità, banche e imprese per individuare le aziende ad alto rischio.
Infiltrazioni criminali nell’economia: il convegno dell’Università Sacro Cuore di Milano
Nel corso dell’evento, è emerso che l’80% delle organizzazioni criminali attive in Europa utilizza le imprese nelle loro attività illecite. Il dato, che arriva da un recente rapporto di Europol, mostra chiaramente come ormai non sia più possibile comprendere la criminalità organizzata senza studiarne le sue manifestazioni imprenditoriali. Stringendo il campo alle mafie italiane, le imprese consentono di infiltrarsi negli appalti, di influenzare mercato e pubblica amministrazione, di creare consenso sociale, di riciclare o muovere fondi illeciti.
L’iniziativa è stata organizzata da Transcrime, Centro di ricerca su criminalità e innovazione dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, e da ANFACI (Associazione nazionale Funzionari amministrazione civile dell’Interno). Hanno partecipato alla conferenza ricercatori, prefetti, magistrati, rappresentanti di imprese e banche, storici e giornalisti, che hanno discusso delle sfide e delle misure di contrasto delle strategie di infiltrazione criminale nei mercati leciti, forma evoluta del crimine organizzato in Italia.
Il centro di ricerca Transcrime ha analizzato le imprese collegate o coinvolte in reati di criminalità organizzata e ha sviluppato fattori di rischio e indicatori per misurarli. I risultati hanno consentito di approfondire le dinamiche dell’infiltrazione. L’individuazione dei fattori di “rischio infiltrazione criminale”, inoltre, ha permesso a Transcrime - e al suo spin-off Crime&tech - di sviluppare dei modelli e tool informatici utilizzati da autorità, banche e imprese per individuare le imprese ad alto rischio.
Da quanto è emerso dall’analisi di Transcrime, l’infiltrazione delle imprese non riguarda solo le mafie italiane, ma anche Paesi e soggetti stranieri: dalla criminalità organizzata turcofona in Germania alle bande di biker in Svezia e Finlandia. Per quanto riguarda l’Italia, risulta che la maggior parte delle oltre 2mila società confiscate in via definitiva alle mafie analizzate nel rapporto PON Sicurezza si concentrano nelle regioni del Sud e rappresentano anche la maggior parte delle imprese colpite da interdittive antimafia. Tra le regioni del Nord emergono Lombardia, Piemonte, Veneto ed Emilia Romagna (con un numero di interdittive in crescita). Mentre le province del Nord - tra cui Milano, Brescia, Reggio Emilia - sono anche quelle con la più intensa attività anti-riciclaggio. Inoltre, riguardo alla vulnerabilità delle regioni settentrionali, emerge che analizzando 30 indicatori di anomalia su oltre un milione di imprese lombarde è stato evidenziato che oltre 5mila imprese (0,5% del totale) sono ad alto rischio infiltrazione in 3 o più categorie di fattori. Per quanto riguarda i settori di infiltrazione, l’analisi delle società confiscate evidenziava ambiti tradizionali: costruzioni, ristorazione, commercio all’ingrosso e al dettaglio (ad esempio di prodotti alimentari). Ma i casi più recenti analizzati da Transcrime mostrano anche la presenza di settori più “evoluti”, come le energie rinnovabili, i trasporti, il gaming e le scommesse, il commercio di medicinali o la progettazione architettonica/edile.
Un altro argomento affrontato riguarda le caratteristiche di governance e di bilancio che hanno le imprese infiltrate. Dalle analisi di Transcrime, infatti, emerge spesso un utilizzo delle imprese strumentale a occultare l’origine illecita dei fondi o dei beneficiari finali. Un esempio è che, in base all’analisi delle imprese confiscate alle mafie in Italia e di quelle interdette in Lombardia, si vede un’alta incidenza di donne in ruoli apicali: è sintomo, questo, del ricorso degli affiliati a prestanome selezionati “in famiglia” per mantenere uno stretto controllo sulle imprese. Non mancano, però, schemi più sofisticati di esterovestizione o di ricorso a strutture societarie complesse: secondo il progetto europeo DATACROS, l’1,2% delle 55 milioni di imprese europee mostra collegamenti con trust, fiduciarie o altre entità giuridiche “opache”, mentre l’1% con altre entità registrate in Paesi ad alto rischio o in blacklist/greylist a livello anti-riciclaggio e fiscale.
Anche l’indagine di Transcrime sulle imprese italiane che hanno cambiato proprietà durante l’emergenza Covid-19 (43.688 società tra aprile e settembre 2020) ha evidenziato che l’1,3% ha visto l’ingresso di nuovi titolari collegati a giurisdizioni a rischio, un valore 5 volte più elevato della media italiana, e collegati a un numero di forme societarie opache oltre 10 volte superiore alla media, con 1.120 persone politicamente esposte tra i nuovi titolari (l’1,5% del totale). Infine, l’uso strumentale delle imprese da parte della criminalità organizzata emerge anche dalle analisi di bilancio, che spesso mostrano un’attività produttiva inesistente o come ‘cartiera’, e dalla concentrazione di più imprese agli stessi indirizzi, spesso “hub” di società fittizie, molte delle quali poi fallite.
“Il tema delle ricchezze criminali e del loro impiego nell’economia legale non è adeguatamente percepito nella sua rilevanza. Obiettivo di questa conferenza è ampliare la comprensione di questi argomenti e promuovere la sensibilizzazione del sistema Paese, potenziare la cooperazione tra gli attori coinvolti, sensibilizzare le imprese alla valutazione dei rischi e denuncia delle minacce. Inoltre, a 30 anni dalla nascita di Transcrime, il supporto della ricerca si rivela centrale nel definire i fattori di rischio e trasferirli in tecnologie e iniziative di intelligence a supporto della capacità di prevenzione di autorità e imprese”, ha sottolineato il professor Ernesto Ugo Savona, direttore di Transcrime. Durante la discussione è emerso che la lotta alle mafie in Italia si concentra ancora sull’identificazione e condanna dei responsabili dei reati, lasciando in secondo piano le indagini economiche sulle ricchezze mafiose. Tuttavia, hanno spiegato gli esperti, la sola azione penale ha dimostrato scarsi effetti deterrenti o rieducativi. I relatori, tra cui il procuratore nazionale Antimafia e Antiterrorismo Giovanni Melillo, hanno evidenziato l’importanza di supportare l’azione penale e la sua capacità di inibire le organizzazioni criminali con elementi come le interdittive dei prefetti (funzionali a sottrarre alle mafie le risorse che ne garantiscono la continuità), la ricerca accademica (nello sviluppo di indicatori di rischio come strumenti innovativi per l’analisi di big data) e la collaborazione di banche e imprese.
L’efficacia delle interdittive, hanno sostenuto ancora gli esperti, ha potuto arginare lo sfruttamento intensivo delle imprese per fini criminali, assicurandone al tempo stesso la continuità produttiva, ma tuttavia è minata dallo scarso numero di misure di sequestro e confisca dei patrimoni illeciti all’estero: alle migliaia di misure patrimoniali in Italia, infatti, corrispondono solo poche decine all’estero e questo rappresenta un ulteriore incentivo all’internazionalizzazione delle mafie. “Nonostante i rilevanti risultati conseguiti e le capacità acquisite, permangono intrecci da contrastare e conoscere meglio”, ha detto il prefetto Ignazio Portelli, Commissario dello Stato per la Regione Siciliana e presidente di ANFACI. "Il contrasto alle infiltrazioni è un percorso a ostacoli e non sempre consegue i risultati dovuti e attesi per molteplici cause. È comunque dovere etico e morale sempre lavorare per ergere in modo ancora più profondo il solco della legalità”.