L’altopiano dei Sibillini resta spoglio: caldo e siccità spengono lo spettacolo dei fiori. “Abbiamo perso un terzo dei turisti”, dicono. Ma la lenticchia resiste. E c’è chi non vuole arrendersi.
Dove sono finiti i fiori?
Castelluccio di Norcia quest’estate è rimasto senza la sua magia. L’altopiano che ogni anno, tra fine giugno e luglio, si trasformava in un quadro vivente di papaveri, fiordalisi, margherite e narcisi, si è presentato spoglio, ingrigito, quasi brullo. A cancellare lo spettacolo sono stati 20 giorni di caldo secco e spietato, senza una goccia d’acqua, proprio nel momento in cui i fiori spontanei avrebbero dovuto sbocciare.
“Dal primo al 20 giugno non è mai piovuto. Nemmeno una rugiada notturna. E qui siamo a quasi 1.500 metri di quota”, ha dichiarato il coltivatore Gianni Coccia, assessore comunale di Norcia.
Il fenomeno colpisce al cuore uno dei luoghi più simbolici del Centro Italia, già devastato dal sisma del 2016. Il turismo legato alla fioritura è crollato del 30%, e le immagini che circolano sui social — piane arse, papaveri solitari, pochissimi fiordalisi — sono un colpo al cuore per chi conosce quei luoghi come distese di colore esplosivo.
L’arcobaleno spezzato
“È stata la peggiore fioritura degli ultimi decenni”, racconta Diego Pignatelli, presidente della Cooperativa della Lenticchia di Castelluccio. *“Non seminiamo mai i fiori, sono spontanei: per questo ogni anno il disegno e i colori cambiano. Ma stavolta il caldo ha spento tutto. Era, ed è rimasto, un paesaggio lunare”*.
Lo conferma chi, come Annamaria da Livorno, è salita apposta per fotografare. “È un disastro. Per scattare qualcosa di decente spruzzo acqua sui fiordalisi: sembrano piante morte”. Per i fotografi naturalisti la fioritura era l’occasione di immortalare un’armonia irripetibile. Ora, tra sentieri polverosi e campi spezzati dal sole, il turismo fotografico è evaporato.
I fiori più belli nel 2020, il paradosso del Covid
C’è un precedente che torna nei racconti degli agricoltori: il 2020. In pieno lockdown da Covid, quando le strade erano vuote e i turisti assenti, Castelluccio regalò una fioritura da antologia. “La più bella degli ultimi 50 anni”, la definiscono in molti. Un tripudio di rosso vermiglio e blu cobalto, che nessuno poté vedere dal vivo se non chi viveva lì.
“Sembrava un premio segreto della natura per chi era rimasto”, racconta ancora Coccia. Il paradosso si ripete oggi, ma all’inverso: libertà di movimento, boom di presenze attese, ma nessun colore.
“I turisti ci chiedono: dove sono i fiori? E noi non sappiamo che dire, se non: la natura stavolta non ci ha aiutati”, ammette amaramente l’assessore.
Il raccolto delle lenticchie è salvo. Per ora
C’è però una nota positiva: la coltivazione della lenticchia, DOP riconosciuta e venduta in tutto il mondo, è per ora salva. “Il caldo ha danneggiato i fiori ma non le piantine di lenticchie”, spiega Pignatelli. “Aspettiamo la fine di luglio per il raccolto, ma l’umidità notturna ha aiutato”.
Il punto è che la fioritura, per quanto spontanea, è un’attrazione turistica con un peso economico rilevante. “Senza quei colori ci perdiamo tutto l’indotto. Già dopo il terremoto era rimasto poco turismo, ora si aggiunge anche il rischio climatico. Non possiamo permetterci di perdere la fioritura ogni estate”, aggiunge Pignatelli.
Il clima che cambia cancella la bellezza
La “morte della bellezza” è un nuovo fenomeno tipico dei territori alpini e appenninici. “Castelluccio è un caso emblematico: ecosistemi fragili, dipendenti da poche settimane chiave, saltano per l’estremizzazione delle temperature”, ha spiegato il climatologo Luca Mercalli.
Le stazioni meteo della zona hanno registrato nel giugno 2025 una piovosità inferiore del 78% rispetto alla media, mentre le temperature massime hanno toccato i 32°C anche sopra i 1.400 metri. Un mix letale per fiori che vivono su un equilibrio delicato: troppo freddo rallenta la crescita, troppo caldo la brucia in pochi giorni.
“Le margherite sono durate una manciata d’ore, i fiordalisi non hanno mai aperto del tutto. I campi erano secchi ancora prima dell’alba”, racconta Coccia.
Chi resta e chi resiste
Eppure, nonostante tutto, c’è chi resta. Samuele Calenda ha vent’anni e ha scelto di vivere vendendo salumi e lenticchie da un piccolo food truck alle porte di Castelluccio. “Tutti i miei coetanei se ne sono andati dopo il terremoto. Io no”, racconta. “La mia casa è crollata ma ho un lavoro e un futuro. E vuoi mettere il colore delle margherite all’alba? Per me vale più di qualsiasi metropoli”.
La sua è una delle tante voci di una generazione che, nel cuore dell’Appennino, prova a resistere al sisma, allo spopolamento e al cambiamento climatico. Un presidio umano e culturale che rischia di spegnersi con la stessa velocità con cui sono appassiti i fiori.
Il futuro? Appeso alla rugiada
Nel frattempo, si spera. Nelle prossime settimane sono attesi temporali: se arriveranno, potrebbero far sbocciare gli ultimi ritardatari. “L’unica speranza è la rugiada del mattino”, sospira Pignatelli. “Non è una frase poetica, è un dato fisico. Se non si forma la condensa notturna, nemmeno le lenticchie possono resistere a lungo”.
Forse, più che un racconto di cronaca, Castelluccio è oggi un monito: la bellezza non è scontata, nemmeno quando sembrava eterna. E se il clima cancella lo spettacolo, ciò che resta è solo chi ha ancora voglia di aspettare che torni.