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Canino e la frittata più grande del mondo: il cibo come memoria collettiva

- di: Cristina Volpe Rinonapoli
 
Canino e la frittata più grande del mondo: il cibo come memoria collettiva

Ci sono eventi che sembrano semplici appuntamenti di paese, momenti di festa che riempiono le pagine delle cronache locali per poi svanire nel rumore di fondo dell’attualità. E poi ci sono eventi che, dietro la loro apparente leggerezza, raccontano molto di più. La Sagra dell’Asparago Verde di Canino appartiene a questa seconda categoria.

Canino e la frittata più grande del mondo: il cibo come memoria collettiva

Dal 28 al 30 marzo, un intero paese si radunerà per celebrare un prodotto della sua terra, l’asparago verde che ha conquistato il marchio IGP nel 2023. E lo farà non con un convegno o un documento ministeriale, ma con un gesto semplice e potente: mangiandolo insieme. Nelle piazze, nei mercati, nelle trattorie, nelle cucine, e soprattutto in una gigantesca frittata da record, preparata con oltre 1000 uova e quintali di asparagi, nella speranza di entrare nel Guinness dei Primati.

Non è solo una sfida culinaria. È un rito collettivo, un atto di resistenza contro un tempo che ha dimenticato il valore del cibo condiviso. Perché sedersi attorno a un piatto preparato con i prodotti della propria terra non è solo nutrirsi, è riconoscersi, tramandare una storia, affermare un’appartenenza.

Il cibo come identità: una tradizione che resiste
“La civiltà comincia con il fuoco e il cibo condiviso”, scriveva Claude Lévi-Strauss. E aveva ragione. Ogni cultura nasce attorno al cibo, ogni società si è fondata sul gesto di prepararlo e mangiarlo insieme. Perché mangiare non è mai stato solo un atto fisiologico, ma un linguaggio, un modo di stare al mondo.

A Canino, questo linguaggio ha radici profonde. L’asparago verde non è solo un ingrediente, è un frammento di storia agricola, un prodotto della terra che ha scandito le stagioni e i ritmi della comunità. Negli anni ‘70, gli agricoltori di Canino iniziarono a coltivarlo su larga scala, scoprendo che il loro territorio aveva le condizioni perfette per ottenere un asparago di qualità superiore. Un’idea che, con il tempo, ha trasformato un raccolto locale in un simbolo riconosciuto in tutta Italia.

Eppure, oggi, viviamo un paradosso. Mai come in questo tempo il cibo è stato spettacolarizzato, raccontato, fotografato, scomposto nei suoi elementi chimici e nutrizionali. Ma mai come oggi si è persa l’abitudine di mangiarlo insieme, di riconoscere il suo valore non solo nel gusto, ma nell’atto di condividerlo. Fast food, cibi globalizzati, prodotti senza volto e senza storia hanno cancellato la memoria delle cose semplici.

Ecco perché la Sagra dell’Asparago è qualcosa di più di un evento folkloristico. È una dichiarazione di resistenza, un modo per dire che non tutto è omologabile, che le radici contano, che la comunità ha ancora un senso.

Una frittata che non è solo una frittata
Il culmine della festa sarà la grande frittata di asparagi, che verrà preparata domenica 30 marzo in Piazza De Andreis. Una sfida da Guinness, certo, ma anche un simbolo potente. Perché se c’è un piatto che rappresenta meglio di ogni altro l’idea di cibo condiviso, è proprio la frittata.

Nessuna ricetta sofisticata, nessun ingrediente esotico: solo uova, asparagi e la volontà di mescolare tutto insieme, di fare di tanti elementi separati un’unica cosa, proprio come fa una comunità che resiste agli assalti del tempo.

E allora, quando la padella gigante inizierà a sfrigolare, quando l’odore di asparagi e uova invaderà le strade del paese, non sarà solo un momento di festa. Sarà la celebrazione di un’idea di Italia che esiste ancora, un’Italia che non si lascia ridurre a un elenco di prodotti DOP e IGP, ma che vive ancora attorno ai suoi piatti, alle sue piazze, ai suoi gesti antichi.

Perché non si difende una tradizione scrivendone il regolamento, ma cucinandola, mangiandola, raccontandola. Canino lo sa.

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