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Trump in stallo, la Camera affonda il bilancio: voto rinviato

- di: Jole Rosati
 
Trump in stallo, la Camera affonda il bilancio: voto rinviato

Lo speaker Johnson annulla il voto: troppa tensione tra i repubblicani. Il piano da 1.500 miliardi si arena. Trump è isolato, anche il partito lo sfida sui dazi.
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La “grande, bellissima legge di bilancio” che Donald Trump voleva sventolare come bandiera del suo secondo mandato è stata bloccata sul nascere. Lo speaker della Camera, Mike Johnson, ha deciso di annullare il voto, fiutando una sconfitta annunciata. Le divisioni interne al Partito Repubblicano sono ormai incontenibili: l’ala radicale non vuole cedere sulla linea del rigore fiscale, mentre altri esponenti conservatori, stanchi dei diktat di Trump, minacciano di sfilarsi anche sulla questione dei dazi.
Secondo quanto riportato dalla CNN e da Politico, il motivo ufficiale della cancellazione è l’assenza di una maggioranza certa. Ma il retroscena politico è ben più ampio: una parte del GOP accusa Trump di forzare la mano su una legge di bilancio “gonfiata” da spese militari, fondi per la sicurezza del confine e nuovi crediti d’imposta, senza veri tagli strutturali alla spesa pubblica.

Trump contro tutti, anche nel suo partito
L’ultima bozza prevedeva tagli per 1.500 miliardi di dollari in dieci anni, una cifra giudicata insufficiente dai cosiddetti fiscal hawks, i falchi del rigore. Per confronto, al Senato è stato trovato un accordo bipartisan — che ha approvato una versione da appena 4 miliardi di tagli: un compromesso simbolico che non poteva passare alla Camera.
“Non possiamo approvare una legge che fa finta di tagliare mentre aumenta il debito”, ha dichiarato Chip Roy, deputato del Texas e tra i leader del Freedom Caucus, in una conferenza stampa. “Trump vuole spendere come un democratico, ma senza negoziare”.
Dietro lo scontro sul bilancio si nasconde però un nodo più politico che economico: molti repubblicani temono che Trump stia centralizzando troppo il potere, soprattutto dopo che ha chiesto al Congresso pieni poteri per introdurre dazi senza passare per le Camere. La minaccia di nuove tariffe generalizzate ha allarmato anche le grandi lobby industriali, che stanno facendo pressione per frenare l’azzardo protezionista della Casa Bianca.

Il bluff sui dazi e l’isolamento crescente
Nelle ultime settimane Trump ha rilanciato la sua idea di una tariffa universale su tutte le importazioni, accompagnata da dazi “di ritorsione” contro Paesi “che manipolano la valuta o rubano lavoro all’America”. La proposta, accolta con entusiasmo negli ambienti ultra-trumpiani, ha trovato però ostacoli insormontabili tra i repubblicani moderati, preoccupati per le ricadute sui consumatori e sull’agricoltura.
“Non daremo al presidente un assegno in bianco per fare guerre commerciali a nome suo”, ha dichiarato il deputato Brian Fitzpatrick, repubblicano della Pennsylvania, intervistato dal Washington Post.
Il voto saltato è dunque solo la punta dell’iceberg di una crisi istituzionale più ampia. Johnson, pur leale a Trump, non ha potuto ignorare il rischio di una clamorosa sconfitta in Aula. E la pausa di due settimane di Capitol Hill — ora inevitabile — congela tutto, ma non risolve nulla.

Una pausa che pesa
La mancata approvazione della risoluzione di bilancio blocca l’intero meccanismo legislativo: senza di essa, i comitati non possono procedere con le leggi su spesa, tassazione e investimenti strategici. È anche una sconfitta personale per Trump, che aveva fatto pressione diretta sui deputati, promettendo futuri favori politici. La sua influenza, almeno alla Camera, appare ora più fragile che mai.
L’amministrazione sperava di sbloccare la legge entro fine aprile, ma i numeri sono impietosi: bastano tre voti contrari tra i repubblicani per affossare tutto, e i “dissidenti” sono già più del doppio. In assenza di un compromesso, il rischio è che l’intero piano economico trumpiano resti impantanato.
Per il presidente si tratta di un segnale chiaro: il Partito Repubblicano non è più un monolite sotto il suo controllo. E le prossime settimane, tra dossier internazionali e mercati nervosi, potrebbero far esplodere altre crepe.


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