Non sappiamo ancora se e quando ''La baracca delle donne'', scritto dalla storica spagnola Fermina Cañaveras, arriverà in Italia. Ma, dagli estratti che si possono trovare in Rete, il libro appare come un nuovo tassello della lunga ricerca delle verità sul destino di centinaia di migliaia di donne che, tra il 1942 e il 1945, passarono per il campo di concentramento di Ravensbrück, affrontando non solo la fame e il freddo, ma anche l'annientamento della dignità, costrette a prostituirsi, a subire stupri, aborti forzati e la sterilizzazione.
E appunto stupri, aborti e sterilizzazione furono il fondamento di un progetto condotto dal nazismo esclusivamente per annichilire le donne e cancellarne i diritti.
La nostra biblioteca - Ravensbrück, il lager diventato l'inferno delle donne
Di donne, per quel campo di concentramento, uno dei più grandi costruiti in Germania, ne passarono almeno 130 mia, una stima che, già drammatica, lo sarebbe ancora di più perché potrebbe essere per difetto. Donne che, nel momento in cui vi facevano il loro ingresso, vedevano azzerata la loro personalità. Al punto tale che il peso delle umiliazioni subite, ha spinto le poche sopravvissute a cancellare il ricordo, dopo averne metabolizzato la devastazione morale. L'autrice, che per raccontare ha scelto di farlo come se fosse un romanzo, ha raccolto una massa imponente di materiale, riuscendo anche a parlare con qualcuna delle duecento sopravvissute spagnole, su un totale di quindicimila che scamparono alla morte.
Costruito a 90 chilometri da Berlino, Ravensbrück era il campo femminile più grande della Germania e il secondo liberato dagli Alleati in Europa dopo Auschwitz. Il fatto che, vista la sua collocazione geografica, sia stato uno degli ultimi ad essere liberato ha forse consentito ai suoi comandanti di avere il tempo di distruggere gran parte della documentazione che vi era conservata. Nell'oblio sono quindi finite carte e schede che forse avrebbero potuto descrivere realmente quel che accadeva, tra baracche e filo spinato.
''La storia, purtroppo, è raccontata soprattutto da uomini; Si è sempre parlato di esilio, di guerre, di campi...dalla sofferenza degli uomini, ma che dire delle donne? Perché questa tendenza a dimenticare la memoria del nostro Paese, ma soprattutto a dimenticare le donne?", si chiede Cañaveras.
Il racconto, che ha come protagonista una donna, Isadora, eletta a simbolo di tutte le altre, è sconvolgente e basta solo riferire quel che le donne dovevano sopportare a Ravensbrück per capire l'orrore del nazismo, che le usava con pretesti che volevano essere scientifici ed erano, invece, solo il Male eletto a sistema di coercizione.
''Venivano violentate circa 20 volte al giorno, davanti a molti soldati che venivano a guardare, e molte di loro rimanevano incinte. È stato con questi" - dice l'autrice - "che hanno sperimentato, hanno aperto la loro pancia e li hanno lasciati morire per vedere quanto potevano sopportare i feti''. Nessuna morbosità, dice, ma solo ''memoria e così va raccontata".
Il contesto è agghiacciante: insieme agli stupri quotidiani, il campo era un laboratorio per pratiche che sfuggono a qualsiasi considerazione scientifica o morale, come il tentativo di inseminare le prigioniere con sperma di scimpanzé per verificare se potevano procreare. Ad altri furono rimosse e reimpiantate parti del corpo per verificarne il recupero.
Isadora Ramírez García (questo il nome completo), nata nel 1922 e morta nel 2008, una delle ultime sopravvissute spagnole conosciute, di violenze ne ha subite tante e sulla sua storia personale l'autrice ha costruito quella generale delle migliaia di donne arrivate a Ravensbrück, che vi morirono o riuscirono a salvarsi, almeno fisicamente.
Ma lei, Isadora, quel che aveva passato lo portava scritto sul corpo. Non in senso figurato, ma proprio scritto sul petto, tautato, ''Feld Hure'', ''puttana del campo''.
In questo romanzo non c'è eufemismo, c'è la verità. Anche nella crudeltà delle parole.
''Le donne incinte erano i conigli'', dice l'autrice, e la ''caserma delle donne pazze'' era il nome usato per confinare, in un ostracismo ancora più ignominioso, tutte quelle che non erano riuscite a sopportare tanto dolore e perdevano la ragione. Isadora, come molte altre sue compagne spagnole, era una repubblicana e per questo si era unita alla Resistenza in Francia fino a quando non fu catturata.
''La baracca delle donne'' (edito da Espasa), dice l'autrice, è ''una storia di resilienza e sorellanza. Lì si aiutavano, si accompagnavano, si prendevano cura l'una dell'altra e proteggevano tutte queste donne per far sopravvivere la maggior parte di loro. Questo romanzo è la conseguenza delle sue esperienze, delle sue paure, dei suoi silenzi e dei suoi sentimenti. È il lavoro di molte ore di ricerca culminate in un omaggio a tutti coloro che sono rimasti all'ombra della storia''.