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Fine vita, lo stop dell’Avvocatura: "Non esiste un diritto al suicidio"

- di: Cristina Volpe Rinonapoli
 
Fine vita, lo stop dell’Avvocatura: 'Non esiste un diritto al suicidio'
"Non esiste un diritto al suicidio". È questo il cuore dell’intervento dell’Avvocatura dello Stato davanti alla Corte costituzionale, chiamata a esprimersi sulla questione sollevata dal gip di Milano sull’articolo 580 del codice penale, quello che punisce l’aiuto al suicidio. Un pronunciamento, quello dell’organo legale dello Stato, che sembra voler blindare il sistema vigente, in un momento in cui il Paese fatica ancora a costruire una cornice normativa sul fine vita. Mentre altrove, in Europa, la questione è stata affrontata con approcci differenti e, in molti casi, più evoluti.

Fine vita, lo stop dell’Avvocatura: "Non esiste un diritto al suicidio"

La Corte costituzionale, nel 2019, con la storica sentenza Cappato (n. 242), aveva già aperto una breccia: l’aiuto al suicidio non è punibile in presenza di determinate condizioni – malattia irreversibile, sofferenze intollerabili, piena capacità di intendere e volere, e il ricorso a trattamenti di sostegno vitale. Una pronuncia chiara, che lasciava però aperta la porta a un intervento legislativo. Intervento mai arrivato. In Parlamento le proposte si sono arenate tra resistenze culturali, tatticismi politici e il timore – trasversale – di affrontare un tema che scava in profondità nella coscienza collettiva.

L’Avvocatura, oggi, ricalca quella prudenza e invita la Corte a dichiarare “inammissibile” la nuova questione di legittimità. Una chiusura che riflette l’inerzia di un sistema politico ancora incapace di assumersi la responsabilità di decidere. Ma lo stallo italiano risalta ancora di più se messo a confronto con quanto avviene nel resto d’Europa.

L’Europa che ha deciso: modelli a confronto

In Spagna, dal 2021, è in vigore una legge che legalizza l’eutanasia attiva, riconoscendo il diritto di morire con dignità per chi versa in condizioni cliniche gravi, incurabili o debilitanti. La legge ha istituito anche una commissione di garanzia e valutazione per ogni caso, dando al sistema una struttura chiara.

In Belgio e nei Paesi Bassi, le normative sono ancora più consolidate. L’eutanasia è praticata legalmente da oltre vent’anni, con regole severe ma definite, e con un ampio consenso sociale. In Olanda, la possibilità è estesa anche ai minori in determinate circostanze, dopo un lungo processo di confronto pubblico.

La Francia ha scelto una via più cauta, ma il dibattito è in pieno corso: il presidente Emmanuel Macron ha promesso per il 2025 una nuova legge che disciplini l’“assistenza attiva al morire”, aprendo alla possibilità di un sostegno medico al suicidio assistito.

In Germania, la Corte Costituzionale ha annullato nel 2020 il divieto assoluto al suicidio assistito, affermando il principio secondo cui l’autodeterminazione dell’individuo deve prevalere sul divieto penale, anche in materia di morte volontaria. Da allora il Bundestag è al lavoro per regolare in modo puntuale l’accesso a questa pratica.

L’Italia nel limbo: un’anomalia che pesa

Il caso italiano, invece, resta un’anomalia. Dopo la sentenza Cappato, si è proceduto solo per via giurisprudenziale, caso per caso. Lo dimostra il percorso a ostacoli di Federico Carboni, il primo italiano ad accedere al suicidio assistito in maniera legale nel 2022, dopo 18 mesi di attese, pareri, e cavilli. Senza una legge, ogni procedura diventa una lotta contro il tempo e contro l’ambiguità.

Le Regioni provano a colmare i vuoti: le Marche hanno negato ogni possibilità, mentre l’Emilia-Romagna, la Toscana e il Lazio hanno cercato di attuare protocolli operativi in base alla sentenza della Consulta. Ma manca una cornice unitaria. E questo frammenta, divide, isola.

La sfida della politica: decidere o delegare

La decisione della Consulta è attesa nelle prossime settimane, ma intanto si avverte il peso di una classe politica che continua a rimandare. Il timore del confronto su un tema sensibile prevale sulla responsabilità. E così si perpetua l’ambiguità: non si vieta apertamente, ma nemmeno si permette con chiarezza. Una zona grigia dove chi soffre è costretto a combattere per ottenere ciò che in altri Paesi è un diritto.

E mentre l’Avvocatura alza un muro, i cittadini continuano a domandare: esiste, o no, un diritto all’ultima scelta? E lo Stato, è disposto ad ascoltare, oppure si limiterà ancora una volta a delegare ai giudici ciò che la politica non ha il coraggio di fare?
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