L’Arte di Genova, da Rubens a Magnasco, in mostra fino al 3 luglio alle Scuderie del Quirinale

- di: SAMANTHA DE MARTIN
 
Una girandola di sguardi galoppa tra velluti, dogi, schiavi e nobildonne, frugando tra gli argenti sontuosi, i roboni vermigli, le tavole imbandite di frutta e cacciagione, tessendo, come in una gigantesca allegoria, la vibrante anima di Genova barocca.
Lo spirito della città ligure esplode tra le sale delle Scuderie del Quirinale per condurre i visitatori nel secolo d’oro di quella che Francesco Petrarca descrisse come “una città regale, addossata ad una collina alpestre, superba per uomini e per mura...signora del mare”.
La storia della città, all’epoca capitale finanziaria internazionale, le radici della sua grandezza, la sua realtà complessa, poco conosciuta, a tratti misteriosa, si racconta a Roma, fino al 3 luglio, grazie al poderoso progetto Superbarocco. Arte a Genova da Rubens a Magnasco, organizzato dalle Scuderie del Quirinale e dalla National Gallery of Art di Washington, con la speciale collaborazione del Comune e dei musei di Genova.

L’Arte di Genova, da Rubens a Magnasco, in mostra fino al 3 luglio alle Scuderie del Quirinale

Un filo prezioso, come i damaschi dei grandi signori immortalati sulle tele, lega la capitale a una seconda mostra dedicata alla Superba, che ha la sua sede proprio a Genova, dove Palazzo Ducale ospiterà fino al 10 luglio La Forma della Meraviglia. Capolavori a Genova tra il 1600 e 1750, un percorso che mette insieme una serie di iniziative, unite sotto il titolo “I Protagonisti”, sparse in diversi musei e palazzi cittadini.
Tra le sale delle Scuderie del Quirinale, man mano che avanza tra le oltre 120 opere in mostra, il visitatore sfoglia i motivi che hanno reso il Barocco di Genova così grandioso.
L’appellativo di Superba - a cui il titolo Superbarocco si richiama - designa una città che, tra la fine del Cinquecento e i primi decenni del Settecento, è stata una delle grandi capitali economiche d’Europa. Fasti e lussi, declinati con grande determinazione dalle nobili famiglie genovesi, si ritrovano nell’eccezionale allestimento di capolavori prestati alle Scuderie del Quirinale, da musei internazionali e da esclusive collezioni private.

Un racconto lungo 150 anni, da Rubens a Magnasco


Articolato in diverse correnti parallele - conseguenza del regime stesso dello Stato repubblicano che impediva l’affermazione di un gusto predominante tipico invece di una corte - il Barocco genovese, cosmopolita e composito, sebbene di dimensione più privata rispetto a quello romano, coincide con un periodo di produzione di altissima qualità. La sua parabola dura quasi 150 anni e si allunga dalle prime visite alla Superba di Pieter Paul Rubens, nei primi anni del Seicento, alla morte di Alessandro Magnasco (1749) e alla fondazione della prima ufficiale accademia d’arte cittadina.
Questo arco temporale composito che scandisce, alle Scuderie, il viaggio del visitatore, abbraccia arti diverse, dalla pittura monumentale di Rubens al gruppo processionale di Anton Maria Maragliano da Pieve di Teco, dall’Immacolata d’argento dal Museo del Tesoro della Cattedrale di Genova al sublime Ratto di Elena di Puget, trionfo del marmo, fino ai lussuosi arredi dai Musei di Strada Nuova.
Sono soprattutto gli argenti da parata a incatenare lo sguardo del pubblico.
“L’argento è il nerbo dei prestiti e ciò che gli uomini d’affari considerano maggiormente” dichiarava nel 1628 il presidente del Consiglio delle Finanze Spagnolo. La corona di Spagna pagava infatti i suoi crediti nei confronti dei banchieri con i metalli preziosi, specie l’argento, che giungeva dalle Americhe in Occidente e a Genova sotto forma di pani. Ed eccolo, come fosse manifattura dei giorni nostri, brillare in mostra nei raffinati bacili, nei piatti a vasi istoriati, fasto e delizia delle facoltose famiglie cittadine.
“Il criterio della mostra a Roma - spiega Piero Boccardo, curatore della rassegna assieme a Jonathan Bober e Franco Boggero - è la consapevolezza dell’unicità e dell’eccezionalità di Genova nel Sei e Settecento. Il percorso, che non segue un andamento cronologico, ma stilistico, parte dalla peculiare storia politica, sociale ed economica di Genova per approdare alla vicenda artistica. A Genova arrivano in quel periodo artisti incredibili, talenti che guardano a ciò che di nuovo giunge da fuori. Esistono più correnti pittoriche nello stesso momento, ciascuna con la propria autonomia ed ogni famiglia fa le proprie scelte sulla base dei gusti. La nostra selezione in mostra ha voluto privilegiare opere d’arte eccezionali e, in molti casi, il capolavoro di un singolo maestro. A differenza della mostra genovese, che si arricchisce di una serie di percorsi satelliti in vari musei e palazzi cittadini, coinvolgendo opere provenienti in gran parte da collezioni private locali, il percorso romano, frutto di prestiti di grandi musei internazionali, si concentra sui variegati aspetti di questa stagione. Una grande parabola di circa 150 anni, ancora vivace, che, dalle prime vedute di Rubens, motore di questa rivoluzione, approda ad Alessandro Magnasco abbracciando arti diverse, dal ricamo al bronzo, dalla terracotta al marmo, dal disegno alla pittura”.

I volti del Barocco

È il monumentale ritratto a cavallo di un reboante Giovan Carlo Doria trentenne, il più illustre mecenate del patriziato cittadino dell’epoca, ambizioso “pater patriae” - realizzato da Pieter Paul Rubens dopo uno dei suoi soggiorni a Genova - a dare il benvenuto al pubblico in questo abbacinante viaggio barocco. Un moto dinamico che stuzzica i sensi del visitatore si sprigiona dall’elegante figura di Elena Grimaldi Cavalleroni Cattaneo dalla National Gallery of Art di Washington, realizzata da Antoon Van Dick, l’ultimo dei grandi forestieri a Genova nel primo Seicento.
Il suo sguardo seducente, all’ombra del parasole rosso, ammicca al volto austero di Agostino Pallavicino in veste di ambasciatore al pontefice, sempre di Van Dyck e giunto a Roma dal Paul Getty Museum di Los Angeles, a quello tronfio di Anton Giulio Brignole-Sale e a quello quasi umanizzato del suo cavallo, sfida il volto gentile di Paola Adorno Brignole-Sale, con il suo pappagallo spiumato che allude alla caducità della bellezza, al pari della rosa sfiorita che l’elegante donna regge tra le mani. Mentre la Cuoca di Bernando Strozzi, intenta a spennare una grossa oca, sembra rivolgere il suo sguardo compiacente a chi la osserva.
Opere di grande realismo come La dispensa di Anton Maria Vassallo sfoggiano un bagaglio culturale di marca genovese e fiamminga.

Se i miti pagani risuonano nella tela di Valerio Castello, Diana e Atteone con Pan e Siringa, le scene bibliche si fanno breccia attraverso il Sacrificio di Noè dopo il Diluvio universale, realizzato dal Grechetto verso la metà del XVII secolo.
L’ultima parola di questa abbagliante galoppata nel secolo d’oro della Superba all’inquieto Alessandro Magnasco. A fine mostra - in un percorso arioso, allestito con cura e reso chiaro grazie anche all’apparato didascalico esplicativo - gli sguardi limpidi di Rubens che hanno aperto il percorso sfumano nelle piccole figure dei Cappuccini di un inquieto Alessandro Magnasco, disposti in cerchio attorno al fuoco, in uno spazio intimo e impenetrabile che offre senza indugi l’immagine di una comunità estremamente povera. Il secolo d’oro della Superba sfuma nelle figure guizzanti del Baccanale, nel paesaggio vibrante di Sant’Agostino e il bimbo, reso quasi burrascoso dalla spuma delle onde e dalle vesti del santo mosse dal vento.
Dal terrazzamento di un giardino dove una compagnia di dame e gentiluomini, cicisbei e servitori si diletta tra svago e riposo, la nostra vista si perde tra strade, borghi, colline sullo sfondo, fino a raggiungere, oltre le mura, un agglomerato: è Genova. Tutto risulta impalpabile, ogni intento celebrativo crolla. Magnasco ha saputo rappresentare in duraturi termini poetici un’epoca e un momento inevitabilmente effimeri. Con lui, alla maniera di un piranesiano capriccio, cala il sipario sull’età dell’oro della pittura a Genova.
Tags: arte
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