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L’America esplode: truppe a LA, Harvard sfida il diktat di Trump

- di: Bruno Coletta
 
L’America esplode: truppe a LA, Harvard sfida il diktat di Trump
Dalle rivolte nelle strade agli atenei in rivolta, gli Stati Uniti affondano in una crisi senza precedenti mentre Trump militarizza e colpisce la libertà accademica.

Il fronte di Los Angeles
Los Angeles è teatro di proteste violente contro le operazioni ICE e l’invio delle forze federali. La decisione di Trump di mobilitare 2.000 membri della Guardia nazionale — il primo dispiegamento federale senza il via libera del governatore della California dal 1965 — ha segnato l’escalation.
I manifestanti hanno bloccato la 101 freeway, incendiato veicoli e lanciato pietre e petardi verso gli agenti, che hanno fatto ricorso a gas lacrimogeni, flash-bang e proiettili di gomma.
La situazione è degenerata con almeno 118 arresti e decine di feriti, tra cui anche giornalisti; le forze dell’ordine hanno dichiarato lo stato di “assembramento illegale”.

Le reazioni delle istituzioni locali
Gavin Newsom, governatore della California, ha definito l’operazione “un abuso di potere” e “illegalmente militaristica”, chiedendo il ritiro immediato delle truppe e accusando Trump di violare la sovranità statale.
Karen Bass, sindaca di LA, ha bollato l’intervento come provocatorio”, ribadendo che la città “era sotto controllo” prima dell’intervento federale e deprecando la militarizzazione delle strade.
Una dichiarazione congiunta di 22 governatori democratici, tra cui Kathy Hochul, Josh Shapiro e Gretchen Whitmer, ha definito il dispiegamento “inefficace e pericoloso” e un potenziale precedente inquietante.

Le mosse del Pentagono
Il segretario alla Difesa Pete Hegseth ha minacciato l’invio dei Marines (500 già in standby) per supportare le operazioni, scatenando ulteriori tensioni sul rischio di un’escalation militare interna. Secondo fonti del Comando Nord, anche le forze speciali sono in stato di allerta e pronte a intervenire in caso di degenerazione.
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Harvard al centro delle proteste per il divieto agli studenti internazionali
Nel frattempo, Harvard è penetrata nella bufera politica per il provvedimento presidenziale che vieta l’ingresso di studenti stranieri all’ateneo, accusato di essere illegale e punitivo.
Il 4 giugno Trump ha firmato una proclamazione che sospende per sei mesi i visti degli studenti stranieri diretti a Harvard, evocando motivazioni di sicurezza nazionale.
Il 6 giugno una giudice federale ha emesso un ordine restrittivo temporaneo su richiesta dell’università, congelando il provvedimento fino all’udienza del 16 giugno.
Harvard ha definito l’azione una “ritorsione per la libertà accademica” mentre i ricorrenti studenti, in particolare provenienti da paesi in crisi come l’Etiopia, hanno espresso angoscia e preoccupazione.

La comunità accademica americana ha risposto con compattezza. Oltre 80 atenei hanno firmato una lettera aperta contro il bando, e le manifestazioni hanno invaso campus come Yale, Columbia, Stanford e Berkeley. Il presidente ad interim di Harvard ha dichiarato: “Non è questa l’America che abbiamo insegnato ai nostri studenti”.
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I simboli di una nazione spaccata
Questi due filoni — l’uso della forza a LA e il bando degli studenti stranieri — rappresentano una virata interna già definita “autoritaria” da figure di primo piano come Bernie Sanders. La strategia di Trump sembra mirare a rafforzare il suo brand di “ordine”, ma rischia di ampliare il fossato nazionale.
I governatori dem descrivono una gestione “da dittatore”: Newsom l’ha definita “istanza di militarizzazione, incitazione alla violenza e caos di massa”.
L’azione contro Harvard alimenta il sospetto di un attacco ai bastioni dell’istruzione internazionale, suggellando una svolta ideologica rigorosa e controversa.
Il clima è da assedio. Molti osservatori temono che la polarizzazione possa generare episodi di violenza diffusa, al punto che la rivista Foreign Policy ha parlato di “insorgenza civile frammentata”. Alcuni think tank, come il Brennan Center for Justice, mettono in guardia sulla fragilità del patto federale in condizioni di forte stress istituzionale.
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La guerra civile a bassa intensità?
Interrogarsi se tutto ciò stia portando a una “guerra civile” può non essere una retorica drammatica: le scene viste a LA assomigliano più a conflitti urbani che a manifestazioni ordinarie, con uso di truppe, arresti di massa e una cittadinanza spaccata.
Non solo: da Harvard a Los Angeles la rottura tra potere federale e istituzioni democratiche sembra irrecuperabile. Lo stesso ex presidente Barack Obama ha dichiarato: “Se il presidente non è disposto a rispettare le regole, tocca alla società civile resistere con gli strumenti della democrazia”.
La tensione è alimentata anche dai social media, dove Trump continua a parlare direttamente ai suoi seguaci su Truth Social e X, con toni sempre più bellicosi. In un post del 7 giugno ha scritto: “I democratici vogliono l’anarchia, io porterò legge e ordine. Nessuno è al sicuro se non torniamo a essere forti”.
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Una forma di conflitto non dichiarato
L’America di oggi sembra scivolare verso una forma di conflitto non dichiarato: fratture tra istituzioni, tensione ideologica, imposizione militare nelle città, restrizioni sui diritti accademici degli stranieri. Non è una guerra aperta, ma la strategia politica dominante richiama dinamiche che un tempo avrebbero sollevato allarmi maggiori.
Trump, lungi dall’unire, segmenta: tra il braccio armato nelle città e la cacciata degli studenti stranieri, tiene alta la tensione. La nazione reagisce, ma rischia di restare congelata in un clima di polarizzazione e conflittualità istituzionale, proprio mentre si avvicina il voto del 2026 — un test definitivo per la resistenza delle democrazie americane.

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