OFI Invest AM: Stati Uniti, una decrescita indolore (forse)

- di: Ombretta Signori, Head of Macroeconomic Research and Strategy di Ofi Invest AM
 
Anche se l’anno è iniziato con un po’ di timori, come era prevedibile le misure contro l’inflazione hanno avuto successo, con questa che è passata dal 6,4% al 3,1% negli Stati Uniti e dall’8,6% al 2,4% nell’Eurozona. La rapidità e l’estensione di questa discesa sono imputabili principalmente a due fattori: gli effetti dei prezzi dell’energia e la progressiva risoluzione delle problematiche legate all’offerta che erano sorte durante la pandemia di Covid-19. Inoltre, anche la bassa inflazione registrata dalla Cina rappresenta un boost per lo scenario attuale.

La vera sorpresa del 2023 è stata piuttosto la crescita degli USA, che a gennaio 2023 era stimata attorno allo 0,3% e che ha finito per essere di molto superiore, non mostrando alcun segno di rallentamento neanche oggi. In molti si chiedono come questo sia stato possibile e la prima risposta riguarda sicuramente la Bidenomics. Non solo la ripresa post-Covid ha incentivato i consumi privati, ma i provvedimenti presi per favorire la transizione energetica e il mercato dei semiconduttori (in particolare l’Inflation Reduction Act e il Chips Act) hanno spinto gli investimenti in ricerca e sviluppo e nelle imprese attive in questi mercati. Inoltre, non bisogna dimenticare che, fino alla fine del 2022, il cambio di politica monetaria della Federal Reserve non è stato avvertito per via dei livelli estremamente bassi dei tassi d’interesse al tempo. La divergenza tra Stati Uniti e resto del mondo, in particolare con l’Eurozona, si è fatta particolarmente evidente nel terzo trimestre del 2023, quando il Pil USA ha sfiorato la crescita annualizzata del 5%, mentre quello dell’Eurozona si è ridotto dello 0,1%. le ragioni alla base di questa distanza sono numerose, ma la principale sono i consumi. In una nota diffusa dalla Banca Centrale Europea si evince che in Europa i risparmi in eccesso legati al Covid sono stati distribuiti in modo molto disomogeneo (il 70% era detenuto dalle persone più ricche) e dal 2021 sono stati investiti in attività finanziarie ad alto rendimento e utilizzati principalmente per ripagare i prestiti.

Tuttavia, è abbastanza irrealistico che la spesa dei consumatori americani si attesti sui livelli attuali anche nei mesi a venire (4,1%), anche in vista di un raffreddamento del mercato del lavoro e della crescita degli stipendi. Un rallentamento che si sta già facendo sentire, dato che proprio il mercato del lavoro, per quanto resti rigido, ha iniziato ad assorbire la domanda in eccesso. In ogni caso, una riduzione dei consumi non comporta necessariamente un collasso dell’economia. Infatti, i surplus accumulati in questi anni e la decrescita dell’inflazione manterranno positivo l’andamento del reddito reale. Per quanto riguarda gli investimenti, questi continueranno a essere zavorrati da condizioni di finanziamento più stringenti e dalle crescenti pressioni sui margini aziendali, dato che la Fed non sembra intenzionata ad anticipare un tagli dei tassi prima del secondo semestre di quest’anno, anche l’obiettivo del 2% sia ormai in vista. Nonostante ciò, i dati disponibili suggeriscono che neanche in questo caso si dovrebbero riscontrare ripercussioni particolarmente dolorose, con gli Stati Uniti che potrebbero raggiungere una crescita media annua di circa l’1,3%/1,4% nel 2024, dopo il 2,4% nel 2023.

Quello descritto sopra, è lo scenario di riferimento per gli Stati Uniti formulato da noi di Ofi Invest AM, ma è importante ricordarsi che l’incertezza sul futuro rimane alta, come ci ricordano i conflitti in Ucraina, Medio Oriente e Mar Rosso, che dimostrano come il mondo di oggi sia diventato molto più polarizzato, con i rapporti di forza tra potenze mondiali molto più in equilibrio. Inoltre, quest’anno stabilirà il record per il numero di persone chiamate al voto (circa 2 miliardi in tutto il mondo) e le tornate elettorali del 2023 hanno mostrato che il populismo gode di ottima salute, con le vittorie di Javier Milei in Argentina e di Geert Wilders nei Paesi Bassi; tanto che viene da chiedersi se la vittoria di Donald Tusk in Polonia sia stata solo un caso. Proprio a causa di questa incertezza, se da un lato uno scenario appare più probabile di altri, dall’altro è impossibile fare delle esclusioni, tanto che un crollo drastico del mercato USA, così come un mancato rallentamento, rimangono comunque scenari possibili. Ad oggi, la sola cosa che, come investitori, possiamo fare è tenere d’occhio gli indicatori e aspettare i risultati delle elezioni del 5 novembre e, ancora prima, del 6 giugno per il Parlamento europeo.
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