Nadef, CNEL: deficit 2021 sotto il 10%, rischio crescita senza occupazione

- di: Redazione
 
“L’entità della riduzione del deficit è cospicua ma appare subordinata a una ripresa robusta e duratura e alla conclusione delle misure restrittive varate per contrastare la pandemia. La contrazione del debito al momento non tiene ancora conto delle entrate derivanti dalle risorse straordinarie del NGEU”. Ad affermarlo è Tiziano Treu, presidente del CNEL, anticipando i contenuti di un parere del CNEL sulla congiuntura economica, elaborato ai sensi della legge 30 dicembre 1986, n. 936 (articolo 10, lett. d), che sarà portato domani in assemblea, in vista della Nota di aggiornamento al DEF 2021. “Il crollo relativo al 2020 è risultato inferiore alle previsioni. Il CNEL è stato il solo organismo a ritenere eccessivamente pessimistiche le previsioni degli osservatori internazionali - è scritto nel documento - Una ripresa meno vivace di quella prevista non comporterebbe solo una revisione al ribasso delle previsioni, ma renderebbe necessari interventi di policy che avrebbero un costo politico.

Un primo tema di fondo riguarda quindi le modalità di uscita dalla fase pandemica e dalle politiche estremamente espansive nel corso dei prossimi trimestri”. Nello scenario tendenziale, i conti pubblici nei prossimi 4 anni registrerebbero un deciso miglioramento. Il deficit si manterrebbe stabile quest’anno al 9,5% del PIL e si ridurrebbe a partire dal prossimo, fino ad attestarsi sul 3,4% nel 2024. In quello programmatico, invece, il deficit della PA si manterrebbe per il primo triennio di previsione al di sopra di quello tendenziale. In particolare, nel 2021 anziché ridursi, il deficit continuerebbe ad aumentare (di 2,3 punti percentuali) fino a toccare l’11,8%, mentre si manterrebbe nel 2022-2023 più alto di quello tendenziale rispettivamente di 0,5 e 0,6 punti percentuali di Prodotto Interno Lordo. Sul fronte delle criticità, occorre sottolineare il rischio concreto di una ripresa diseguale tra le diverse aree del Paese, non solo fra Nord e Sud ma anche all’interno dello stesso Mezzogiorno, con marcate differenze fra regioni sia in termini del rapporto percentuale tra differenza fra importazioni ed esportazioni e PIL regionale (che misura in qualche modo la “dipendenza economica” dell’area geografica), sia in termini di dotazione di investimenti fissi, sia in termini occupazionali (dove la difformità territoriale è enorme soprattutto nella disoccupazione di lunga durata).

Sull’inflazione, malgrado l’interpretazione “tranquillizzante” data dagli osservatori al rimbalzo dei prezzi, esiste comunque sempre il rischio latente che la spinta dei costi delle materie prime si trasferisca sui prezzi finali dei beni, e della possibile conseguente erosione di una parte della ripresa a causa del rialzo dei prezzi.
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