Murgia, piaccia o non piaccia la sua voce mancherà

- di: Barbara Leone
 
“Di tutte le cose che le donne possono fare nel mondo, parlare è ancora considerata la più sovversiva”. Questo l’incipit di “Stai zitta”, minuscolo ma graffiante pamphlet scritto da Michela Murgia nel 2021, che a mo’ di caterpillar abbatte tutti i pregiudizi che, consapevolmente o meno, noi donne ci portiamo dietro. E di parole, nella sua breve ma intensa vita terrena, Michela Murgia ne ha partorite molte. Tutte sovversive. Parole che hanno sempre diviso: da una parte lei, e dall’altra il resto del mondo. Che l’ha amata o odiata. Senza mezze misure, esattamente come le sue parole, dette e scritte, che evisceravano in maniera draconiana gli argomenti più scomodi. Quelli che la maggior parte delle persone preferisce non solo non dire, ma nemmeno sentirsi dire perché proprio non le vuole pensare. Scomoda e divisiva fino all’ultimo, quando lo scorso maggio in un’intervista rivelò che le restava poco da vivere affrontando di petto, come solo lei poteva e sapeva fare, l’argomento più impietoso ed ostico per ogni essere umano: la morte. Anche in quel caso c’è chi l’ha applaudita e chi l’ha duramente criticata. Molto semplicemente perché diceva la più scomoda delle verità: “il cancro non è una cosa che ho, è una cosa che sono”, rifiutando così ogni abusatissima metafora bellica con la consapevolezza che con la malattia si convive sempre. Tutto il contrario di ciò che la nostra società ipersalutista, iperottimista ed iperefficientista ci spinge a pensare, sentire e vivere. Al punto da tenerci lontani dalla realtà, fino alla negazione dell’idea stessa della morte. 

Addio a Michela Murgia, la scrittrice è morta a 51 anni

Parole ma anche gesti, altrettanto destabilizzanti e incisivi. Uno su tutti: la celebrazione del suo “matrimonio queer”, un’unione simbolica che recava in sé l’auspicio che in futuro ogni tipo di unione possa avere pari dignità e diritti. O ancora il video in cui, in diretta social, si è fatta radere a zero perché “è caduto il primo ciuffo”, o l’elenco di “cosa da fare prima di morire o in settimana, che a volte è lo stesso”. O l’armadio svuotato, “perché non c’è cosa più triste per gli altri”. E su tutto un invito, che dovremmo tatuarci sulla pelle e nel cuore: “Io sto vivendo il tempo della mia vita adesso. Dico tutto, faccio tutto, tanto che mi fanno? Mi licenziano? Ho chiesto a Vogue di poter fare un viaggio sull'Orient Express. Posso andare alle sfilate di moda, farò un sacco di cose. Ma voi non aspettate di avere un cancro per fare così”. 

Piaccia o non piaccia, Michela Murgia ha fatto della sua vita una esperienza che sopravvivrà al suo addio terreno. E resterà, a dispetto dei tanti che, non accettandola o semplicemente non avendo gli strumenti mentali ed morali per comprenderla fino in fondo, l’hanno detestata. Perché scontrosa, certo. Non incline all’accomodamento, certo. E manichea all’inverosimile. Ma sempre e comunque profondamente coraggiosa, determinata e intelligente. Di quelle intelligenze rare e tempestose. Uniche, affascinanti e immortali. Una donna libera, che non poteva passare leggera. Mai banale e sempre pronta ad analizzare con sensibilità e acume le più abissali lacerazioni dell’animo umano. E lo ha fatto senza mai cadere nell'ovvio. Piaccia o non piaccia, la sua voce mancherà. Mancherà insieme alla sua grinta pazzesca e a quell’energia, nitroglicerina pura, che ci ha attraversati come un fulmine facendoci riflettere, sommuovendoci dalla nostra comfort zone e mettendoci in discussione. Perché dove il grigiore ed il pattume imperversano, Michela Murgia è stata una delle menti più brillanti di questa mediocre epoca. E non a caso è volata via nella notte delle stelle cadenti.
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Italia Informa n° 1 - Gennaio/Febbraio 2024
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