Visti speciali, Londra boccia i laureati italiani: atenei troppo scarsi. Ma la colpa è anche nostra

- di: Barbara Leone
 
Londra sbatte la porta in faccia ai laureati italiani. Dal 30 maggio prossimo, infatti, la Gran Bretagna rilascerà un visto speciale di lavoro per gli studenti usciti dalle migliori università del mondo. Come è noto, dopo la Brexit è possibile entrare in Gran Bretagna (eccezion fatta per turisti e studenti) solo se si ha già in tasca una offerta di lavoro e si soddisfano una serie di altri requisiti, a partire da un salario che deve essere minimo di 30mila euro l’anno. Ma per giovani talenti, Londra ha ora varato il visto per “Individui ad alto potenziale”, ovvero giovani laureati negli ultimi cinque anni in prestigiose università che potranno ottenere  un visto di due anni (o tre, se in possesso di dottorato di ricerca) senza avere già un’offerta di lavoro. Conditio sine qua non ma è quella di provenire da una delle università elencate in una lista pubblicata dal governo di Londra. Quelle che gli inglesi considerano le più prestigiose del mondo. E, sorpresa sorpresina, in questo famoso elenco non v’è ombra alcuna di un solo ateneo italiano. Zero. Nothing at all! Non c’è nemmeno l’illustre Sapienza di Roma, che appena due anni fa aveva fatto le scarpe proprio ai lord made in Oxford, togliendo alla più antica università del mondo anglosassone lo scettro di reginetta per gli Studi classici. Proprio così: secondo la famosa classifica mondiale QS World University Rankings, una delle più importanti a livello universitario, l’ateneo ove troneggia la fiera Minerva capitolina è il migliore del mondo per quanto riguarda la Classicità.

In questo famoso elenco non v’è ombra alcuna di un solo ateneo italiano

Un primato che è stato confermato anche quest’anno. Tiè, becca, take and bring home. Sarà per lesa maestà o intolleranza a spaghetti e pizza, fatto sta che gira che ti rigira gli inglesi alle nostre università gli hanno fatto perepèèè. E così all’ombra del Big Bang una laurea conseguita alla Normale di Pisa, al Politecnico di Milano, alla Bocconi, alla Federico II, alla Luiss a alla stessa Sapienza (giusto per citarne alcune) equivale a poco più d’una pergamena di carta straccia. Nulla che sia alla loro pregevolissima altezza, reale s’intende. La verità è che, sotto sotto, la caliginosa e pure un po’ perfida Albione è rosa d’invidia per una cultura, la nostra, che possiede una tradizione di gran lunga più antica e nobile della sua. Pur senza regine, re, principi reggenti e camille varie. A dire il vero, però, un problema i nostri illustri atenei ce l’hanno. Ed è un problema di comunicazione, tutto italiano e che non riguarda solo il mondo accademico ma più in generale quello della nostra cultura. Perché laddove in altri Paesi appena fanno una puzzetta affiggono i manifesti per mezzo mondo, qui da noi non sappiamo mai valorizzare un fico secco. E invece ne avremmo ben donde. Vale per il patrimonio storico-artistico, le bellezze naturali, la cultura, il prestigio dei nostri atenei. Si può essere i più bravi del mondo, ma se non fai sapere ciò che realizzi, e come lo realizzi, nessuno saprà quanto sei bravo. Non si tratta di peccar di presunzione, ma semplicemente di dare il giusto e sacrosanto valore alle cose, così come ai saperi. Prendiamo il mondo della ricerca: anche qui, notizia d’inizio anno, negli autorevoli premi Starting Erc i nostri ricercatori sono secondi solo ai tedeschi sul podio dei migliori d’Europa.

Ed è un problema di comunicazione, tutto italiano

Lo ha saputo qualcuno? Qualche talk ci ha fatto uno speciale? Ci hanno aperto i tg? Ovviamente no, niet, nada de nada. E però se la Nazionale di pallone vince una qualche qualificazione del piffero può cascare pure la bomba atomica che il tg lo aprono su quello. Contano più undici tangheri che rincorrono un pallone in mutande dei ricercatori che si fanno un mazzo così per trovare, che ne so, l’interconnessione antimaterica tra la fluorescenza dei radioisotopi e l’idroformilazione  del butilene. Una roba che, ovviamente, non esiste. Questo per dire che quando si tratta di darci un tono per le cose importanti siamo veramente ancora a carissimo amico. Ecco perché l’affronto alla nostra cultura e formazione accademica che arriva di là dalla Manica dovrebbe farci da sprone per migliorarci. Che vuol dire credere di più nella qualità del nostro lavoro, che molte volte è più che egregio, e soprattutto imparare a comunicarlo. Tirarsela no, ma essere consapevoli assolutamente sì. Non basta rammaricarsi per la fuga dei cervelli italiani, che sarebbero sì da trattenere. Ma soprattutto da valorizzare. Esattamente come dovremmo fare con i nostri piccoli e grandi patrimoni storici e artistici, che davvero non hanno eguali in nessun’altra parte del mondo. Se solo ci rendessimo conto delle incommensurabili ricchezze del nostro Paese ci preoccuperemmo meno del Pil, del debito pubblico e dello spread. E ci toglieremmo pure qualche sassolino dalle scarpe. Rigorosamente Clarks. Better late than never.
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Italia Informa n° 1 - Gennaio/Febbraio 2024
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