Le ombre del Patto di stabilità sul futuro del Paese
- di: Diego Minuti
Il Patto di stabilità che, dal 1997, vincola le politiche finanziarie dei governi dell'Ue per renderle rispondenti ai requisiti di adesione dell'Ue, dopo la sospensione decise per la pandemia, torna a fare capolino, con la scadenza del gennaio 2024 che in molti, economisti e politici, considerano un collo di bottiglia che rischia di diventare una ghigliottina per i programmi dei singoli Stati. Per dirla in parole povere, sta arrivando per tutti i governi dell'Unione europea il momento di tornare a ragionare seriamente sui numeri, mettendo da parte lo shock che ha causato il Covid-19 ed al quale si è posto temporaneo rimedio sospendendo le rigide regole del Patto. Regole che, se dovesse proseguire con l'attuale architettura, potrebbero vanificare gli sforzi per uscire dall'emergenza, peraltro allentando l'efficacia dei provvedimenti grazie ai quali le economie dei singoli Paesi, e con esse i bilanci domestici, hanno potuto superare la tempesta.
Ma se c'è una cosa in cui l'Ue non ha mai brillato è stata la capacità di adattarsi alle situazione emergenziali, se non con misure che diventano, più che norme che accompagnano, dei veri e propri cappi che, più tenti di allontanarti, più ti strangolano. Questi giorni appaiono, quindi, cruciali nel tentativo del Governo italiano di indurre l'Unione a mostrarsi più vicina ai Paesi che ne fanno parte, lasciando intatto il disegno complessivo, posto alla base del Patto, ma limandone la rigidità di applicazione, nella considerazione che la pandemia, sia pure superata dal punto di vista sanitario, si è lasciata dietro delle macerie e i rimbalzi del Pil sembrano essere semplice conseguenza della ripresa, non già del consolidamento della macchina economica.
Si potrebbe pensare, dando una lettura ''politica'' a questo frangente, che il Governo stia cercando di trovare il modo di superare i vincoli del Patto di stabilità per onorare le promesse fatte in campagna elettorale e nei mesi successivi alla sua costituzione (una cosa che è comune a tutti gli esecutivi e a tutte le maggioranze).
In gioco, però, c'è ben altro, come hanno sottolineato i due ministri che hanno in capo ai rispettivi dicasteri il delicato dossier. Giancarlo Giorgetti, Ministro dell'Economia, senza tanto perdersi in fronzoli lessicali, si è rivolto direttamente all'Unione europea, chiedendo, in sostanza, soltanto ragionevolezza e che quindi non si incaponisca sposando le tesi dei ''duri tra i duri'': ''Siamo un governo responsabile, lo abbiamo sempre ribadito, ma che chiede all’Ue di capire il senso della storia e del momento che stiamo vivendo altrimenti diventa tutto complicato e magari anche autolesionista''.
Sulla scia delle parole del collega all'Economia, quello delle Politiche Ue, Raffaele Fitto, ha detto di condividerne la ''giusta preoccupazione. Noi siamo reduci da un po’ di anni in cui abbiamo dimenticato il convitato di pietra: il Patto di stabilità. Ma oggi torna''.
L'appello dell'Italia non è quindi alla destrutturazione delle linee portanti del Patto, ma una loro nuova definizione che, soprattutto, giunga prima della scadenza del prossimo gennaio, in modo da poterci ''pensare'' in base a nuove e più comprensive regole. La riforma è nel periodo della valutazione e qualche passo in avanti dovrebbe essere fatto in occasione della prossima riunione dell'Ecofin, in agenda per fine ottobre. Ma bisogna andare molto cauti, soprattutto se si pensa che le istanze italiane (ma anche di altri Paesi che lottano con un debito molto alto) possano trovare accoglienza favorevole.
Anche perché i due scenari (quello con le vecchie regole e l'altro con quelle previste dalla bozza di riforma) sono lontani, per non dire assolutamente antitetici.
Perché se la riforma dovesse essere approvata facendo tesoro delle istanze dei Paesi più indebitati, si prevede un aggiustamento del debito in sette anni, con lo 0,45% del Pil. Ma se le regole dovessero essere quelle del vecchio Patto, la discesa annuale del debito dovrebbe essere pari al 4,5%. Una soglia che, per l'Italia, sarebbe semplicemente irraggiungibile.