La transizione digitale e la rete dei sogni

- di: Andrea Colucci
 
Se la rete TIM tornasse sotto il controllo dello Stato sarebbe una bellissima notizia. Parlare di controllo non è tecnicamente esatto, ma a valle della decisione di acquisire una quota di minoranza di Netco – società che dovrebbe nascere dallo spin-off dell’infrastruttura di rete di TIM- presa nell’ultimo Consiglio dei ministri, il Governo si garantirebbe il coordinamento strategico della neonata azienda e deterrebbe i poteri di veto su operazioni straordinarie riguardanti un’impresa di interesse nazionale. Nei fatti, aldilà dei tecnicismi, si può dire che la più grande infrastruttura di telecomunicazioni del Paese tornerebbe sotto il controllo dello Stato.

Così, quattordici anni e 20 miliardi di indebitamento netto dopo (n.d.r. Indebitamento finanziario netto after lease al 31-12-2022), verrebbe data giustizia ad una azienda, un vero campione nazionale, che, alla fine degli anni 90’, ebbe la sfortuna di essere travolta dalla scellerata OPA dei “capitani coraggiosi” e di non trovare nemmeno un baluardo, che in nome dell’interesse del Paese, opponesse la resistenza necessaria alla sua salvaguardia. Che dire, meglio una giustizia tardiva, che perseverare nella lenta agonia alla quale abbiamo assistito in questi ultimi anni. Giustizia per un’azienda e per migliaia e migliaia di dipendenti che nel tempo hanno visto seppellire sotto una montagna di debiti quella che era un fiore all’occhiello dell’industria italiana la cui supremazia nell’innovazione e il cui know-how tecnologico erano riconosciuti e richiesti in Europa e nel mondo.

Tanto per fare un momento di memoria comune, la montagna di debiti fu determinata da quella disgraziata OPA, che spacciata e assecondata come un’operazione di mercato, altro non fu che una speculazione finanziaria di breve termine, basata su strumenti, come il leveraged buyout (n.d.r. acquisizione attraverso l’indebitamento della società acquisita) che erano stati di moda negli Stati Uniti negli anni 80’ con effetti disastrosi sui mercati. Sarebbe una bellissima notizia apprendere con certezza che le telecomunicazioni e più in generale il digitale tornano a far parte dei settori da salvaguardare a livello nazionale, così come è accaduto per ENI ed Enel – tanto per fare due nomi illustri- miracolosamente scampate alla tempesta delle privatizzazioni. Il Governo sta facendo la sua parte, con una determinazione che nessuno degli esecutivi precedenti ha mai osato, ma TIM è un’azienda privata, quotata in borsa, con azionisti internazionali e quindi soggetta alle regole e alle leggi che governano il mercato dei capitali. Bisognerà conciliare i tanti interessi in gioco, soprattutto quelli del socio d’oltralpe Vivendi, che negli anni ha visto più che dimezzare il valore della sua partecipazione e che al giusto prezzo forse, diciamo forse, sarebbe ben lieta di rientrare dell’investimento e guardare ad operazioni più “core”. In questo senso la moral suasion che il MEF e la Presidente del Consiglio in prima persona dovranno esercitare sarà fondamentale per la riuscita dell’operazione.

Ci sarà da superare qualche paletto imposto dall’UE, uno di quelli, come ha chiosato Giorgia Meloni al termine dell’ultimo Consiglio dei ministri, “che ha volte difficilmente comprendiamo”, ma l’obiettivo è a portata di mano. Peraltro, il fondo KKR, driver dell’operazione tra gli investitori, conosce bene il settore e partecipa già la rete secondaria di TIM. Se non altro una garanzia di affidabilità e competenza. Certo un punto di grande attenzione sarà quello di comprendere Sparkle nel perimetro dell’operazione, perché aldilà del valore economico il quoziente di strategicità dei circa 600.000 chilometri di cavi sottomarini in fibra su cui transitano dati è altissimo. Ma anche questo aspetto è ben noto e presidiato. Anche qui andranno conciliati gli interessi, ma la sua inclusione è fondamentale.

Allora, sarebbe veramente una bellissima notizia se la transizione digitale dell’Italia – uno dei titoli principali nel palinsesto del rilancio del Paese- passasse anche da una infrastruttura di telecomunicazioni moderna, solida e partecipata dallo Stato.  Non ci resta che attendere fiduciosi la bella notizia, disponibili anche a rinunciare al superlativo.
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