La Fed inverte la rotta: la reazione dei mercati

- di: Richard Flax, Chief Investment Officer di Moneyfarm
 
Per quanto le banche centrali apprezzino vedere riflesse sui mercati finanziari le aspettative delle loro decisioni, prima della riunione di mercoledì scorso, gli analisti erano divisi tra chi riteneva che la Federal Reserve avrebbe tagliato i tassi di soli 25 punti base e chi pensava che avrebbe fatto le cose in grande, optando per un taglio di ben 50 punti base, una mossa piuttosto aggressiva, solitamente riservata ai tempi di crisi. Alla fine, la seconda opzione è prevalsa e ha portato con sé la necessità, da parte di Powell, di rassicurare l’opinione pubblica sulla salute dell’economia statunitense. Del resto, il presidente della Fed aveva già preparato il terreno nel corso del suo discorso a Jackson Hole in agosto quando, a proposito del duplice mandato della banca centrale Usa, aveva sottolineato che l’attenzione si sarebbe presto spostata dalla stabilità dei prezzi al rallentamento del mercato del lavoro.

Dunque, un taglio preannunciato anche se, secondo alcuni, non del tutto giustificato dai dati: i numeri sulle vendite al dettaglio rilasciati all’inizio della scorsa settimana mostrano un’economia ancora solida, mentre la disoccupazione, seppure in aumento, non ha ancora raggiunto livelli insostenibili, come confermano la creazione di nuovi posti di lavoro e l’aumento dei salari. Allo stesso tempo, Powell ha sottolineato con forza che questa prima mossa non vuole inaugurare una nuova stagione di tagli da 50 punti base e il messaggio sembra essere stato recepito dal mercato, tanto che le attese sul livello dei tassi d’interesse di riferimento alla fine dell’anno non sono cambiate in maniera significativa all’indomani dell’annuncio. 

Sembra quindi che la Fed sia riuscita ad inviare un forte segnale di sostegno al mercato del lavoro, mantenendo al tempo stesso sotto controllo le aspettative di futuri tagli.

La mossa di mercoledì è stata accolta positivamente dai listini, ma ciò che conta di più, in questi casi, è lo stato di salute dell’economia nel suo complesso: al momento gli Stati Uniti non sono in recessione e l’ipotesi più probabile è ancora quella dell’”atterraggio morbido”, con una crescita abbastanza rallentata da permettere all’inflazione di scendere, ma non tanto da innescare una recessione. Uno scenario che dovrebbe sostenere gli asset rischiosi.

Resta l’ipotesi che l’economia Usa si riveli più debole del previsto e che le condizioni del mercato del lavoro peggiorino rapidamente, per questo occorre tenere monitorati da vicino i dati macroeconomici. Un’altra eventualità è quella di una nuova fiammata inflattiva, innescata dalla resilienza dei consumi interni, anche se al momento l’inflazione non è la preoccupazione principale dei policymaker e non dovrebbe destare problemi, almeno per i prossimi trimestri.

In conclusione, riteniamo che la combinazione tra un’economia ancora in crescita e l’allentamento della stretta monetaria sia positiva per gli investitori e, se si manterrà, potrebbe portare a risultati migliori rispetto a quelli che in tanti avevano previsto diciotto mesi fa.

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