Il mondo attuale diviso tra molte crisi e nessuna soluzione

- di: Leonardo Dini
 
Si parla spesso delle crisi internazionali e delle conseguenze dirette o indirette di esse ma raramente si ragiona sulla complessità, data dal sommarsi di queste crisi: il problema dell’export del grano ucraino, e la crisi in Siria, l'espansionismo Cinese, il terremoto in Afghanistan, la guerra in Libia,quella in Yemen: sono alcuni esempi. In un mondo che è da tempo villaggio globale, è essenziale ragionare su come rendere globale la risposta alle crisi, e saper proporre road map di pace o sostegno umanitario, credibili. Gli accordi multilaterali sono spesso falliti dimostrando tutti i limiti di una politica internazionale che nasconde uno scontro tra le maggiori potenze mondiali.

La soluzione possibile esiste dal 1945 e si chiama Onu, pur con tutti i limiti noti del Consiglio di Sicurezza.

Eppure se esiste una possibilità di far ragionare tutti con tutti, questa si trova nel riconoscimento globale, di un ruolo di mediazione e gestione multilaterale delle crisi, unitario, mediante l' Onu. Eppure la soluzione più semplice appare tuttora la più complessa.
Come è accaduto di recente a Kiev in modo sconcertante, lo stesso Segretario Generale Onu Gutierres si è trovato,inopinatamente, coinvolto dalla minaccia di un attacco bellico durante la sua visita.

Questo evento ha indicato chiaramente quanto sia lontana la via della pace senza un rispetto incondizionato e condiviso delle regole più elementari del diritto internazionale e senza il rispetto delle istituzioni mondiali condivise da tutti, come l’ONU.
Identico paradosso si manifesta nella crisi del grano in Ucraina nei riguardi della Fao che, a sua volta, dovrebbe essere il  luogo del dialogo e della cooperazione spontanea, tra est e ovest e fra nord e e sud del mondo.

Ancora si è posto questo problema nel caso del rispetto dei beni culturali universali tutelati da UNESCO.

Basti ricordare le distruzioni irrimediabili di beni archeologici in Afghanistan e a Palmira in Siria e prima ancora in Iraq.

Le guerre, esattamente come i terremoti, le inondazioni, cancellano la memoria del passato e annullano la costruzione del futuro in molte realtà nel mondo. A tutto questo si è aggiunta la emergenza sanitaria mondiale dovuta al Covid. Di fronte a tutto questo risulta indispensabile creare le condizioni per quella governance mondiale delle crisi che tuttora in un mondo rimasto agli accordi bilaterali o multilaterali del passato, appare indifferibile.

L'Onu diviene dunque, di fatto, l'unico strumento percorribile e condiviso di peace and istitutional building e di intervento rapido umanitario e di peace keeping. Auspicabilmente senza le manipolazioni politiche che nel tempo hanno diviso tanto la Assemblea Onu, quanto il Consiglio di Sicurezza. Questo ultimo, infine, deve, nel quadro di un necessario aggiornamento, in via di riforma condivisa, delle prassi istituzionali Onu, essere trasformato, razionalmente, in organo di Sicurezza, anche per le crisi umanitarie, sanitarie, le calamità naturali, i default economici degli Stati, in coordinamento, su questo ultimo punto, con FMI: il Fondo Monetario mondiale.

Solo una coraggiosa riforma di questo tipo, unitamente a una rilettura della struttura del Consiglio di Sicurezza che in parallelo col G20, si apra in modo permanente e non a rotazione, anche alle nuove potenze emergenti: ai Brics o a Stati emergenti come India, Brasile, Australia, Corea, Canada,può fare la differenza.

Tuttora il mondo si trova impreparato alle emergenze globali, sia economiche che umanitarie o politiche o militari o sanitarie. Un dilemma che va risolto al più presto, rendendo efficiente e concreto e condiviso il sistema Onu di potenziale governance mondiale delle crisi.

Possiamo fare alcuni esempi al riguardo:

La guerra in Ucraina vede il susseguirsi di controverse trattative, condotte da Francia, la più seria e credibile, Turchia, Israele, Bielorussia, che purtroppo non solo si rivelano infruttuose, ma dimostrano anche la totale improvvisazione di queste iniziative, talvolta motivate più da interessi nazionali o strategici che finalizzate a una concreta e sincera Trattativa di pace, realmente decisiva.

In aggiunta si assiste a un ruolo secondario e marginale proprio dell'Onu, come dell'OCSE e del Consiglio Europeo, e a una insostenibile fragilità, non solo delle istituzioni internazionali di coordinamento fra gli Stati, ma anche della diplomazia che sembra sempre più lontana dal suo ruolo naturale di mediazione, dialogo e riconciliazione fra le Nazioni.

Al contrario si va verso la rinascita di blocchi contrapposti, tra est e ovest e nord e sud e alla rinascita, un secolo dopo, di un movimento di nazioni non allineate, tuttora considerate pirandellianamente come Personaggi in cerca di autore.

Si evidenzia infine sia la assenza di leadership autorevoli emergenti, proprio sul tema del dialogo per la pace, tranne la eccezione di Macron, debole nella politica interna, forte in quella europea internazionale.

Resta sullo sfondo inoltre il problema di un ordine mondiale equilibrato, multipolare, che favorisca un mondo con più democrazie e meno autocrazie e totalitarismi di ritorno.

Anche per questo l’ONU non solo serve ancora ma avrà in futuro un ruolo maggiore rispetto a quello, più formale che sostanziale, odierno. Un Onu che sia non il Leviatano del pianeta ma invece l'arbitro di un sistema mondiale che sappia apprendere la lezione della Storia, dedicandosi a costruire piuttosto che a distruggere, a rafforzare la pace, piuttosto che a progettare guerre. Non solo no man is a island  ma nessuna nazione può ignorare le esigenze e il futuro del resto del mondo.

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