Forza Napoli, a prescindere. Ma il morto no

- di: Barbara Leone
 
Era nell’aria. Pure troppo. Al punto che, ironicamente, qualcuno aveva scritto sul web che a Napoli s’erano inventati lo scudetto sospeso. Alla faccia della loro famigerata scaramanzia, i napoletani stavano infatti preparando questa grande festa da settimane. Sempre con un corno in tasca, perché non si sa ma. Una festa naufragata per colpa di quei cugini salernitani che, con un pizzico di godurioso sadismo, hanno impedito alla squadra partenopea di raggiungere l’agognato terzo scudetto che nella città delle 500 cupole, baciata da Apollo e avvolta dall’amorevole abbraccio di Poseidone, mancava da ben 33 anni. Napoli mille colori, una e trina per via dei suoi tre antichi nomi: Partenope, Palepoli e Neapolis. La città più femmina che c’è, immortale a dispetto di tutto e di tutti esattamente come la sua amata, e amante, sirena. La città della Smorfia, cui inevitabilmente ora si fa riferimento giocandosi il numero della gatta: il 3. Che poi, se vogliamo, è pure il numero della santissima trinità. Tre che ritorna, anzi raddoppia nel 33, gli anni dall’ultimo memorabile scudetto alzato al cielo da Maradona. Uno che, a Napoli, se la batte solo con San Gennaro. Venerato come un padreterno, e non a caso 33 nella Smorfia sono gli anni di Cristo. Pare esserci un sottilissimo filo rosso, anzi tricolore, che lega questo scudetto a Napoli.

Era destino che lo vincesse. Era la mano de Dios. Meritatissimo sul campo, desideratissimo dai suoi tifosi. E da tanti italiani che, senza magari essere nemmeno appassionati di pallone, hanno gioito per loro. E non ce ne voglia il bravo e buon Vincenzo Salemme che ieri ha poeticamente, e polemicamente, scritto: “Vi prego, non siate felici della nostra felicità come si è felici quando il meno attrezzato prevale sul forte”. Perché non c’è nulla di male a condividere una felicità in nome del riscatto di un popolo che, metaforicamente, rappresenta l’anima di tutto il sud. Siate voi felici della nostra felicità nel vedervi felici. Una felicità per tre. Sempre tre, ancora tre. Meno uno, però. Perché capiamo tutto. Capiamo i botti come se fosse Capodanno, capiamo la nave (avete letto bene: una nave in “carne e ossa”) che per tutta la notte ha attraversato la città, capiamo i caroselli, la baraonda, gli sfottò, i fiumi di sfogliatelle e champagne. Capiamo tutto. Ma il morto no. Quello non lo capiamo, e non lo capiremo mai. Perché esplodere colpi di pistola con la scusa dei festeggiamenti è cosa barbara e incivile. Come lo sono i 203 feriti finiti durante la notte negli ospedali napoletani: chi per un petardo scoppiato in mano, chi per una frattura al naso e chi per un attacco di panico. Nessuna festa vale tanto. Nessuno scudetto, nemmeno dopo 33 anni. Perché se Cristo è morto, lo ha fatto in nome della vita. Per il resto Forza Napoli. A prescindere, direbbe Totò!
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