Banche centrali di Stati Uniti ed Europa sotto pressione a causa dell’inflazione

- di: Gergely Majoros, Carmignac
 
Se da un lato gli annunci di questa settimana da parte della FED e della BCE sono molto attesi, dall’altro l’impennata dell’inflazione sta sconvolgendo le modalità di gestione della politica monetaria implementate a seguito della crisi finanziaria del 2008. In altre parole, l’economia reale (la cosiddetta main street) potrebbe diventare il driver per la FED e la BCE da qui in avanti, dopo più di un decennio di “misure non convenzionali” per sostenere l’economia globale.

Nelle ultime settimane i tassi di interesse a lungo termine in Europa e negli Stati Uniti sono scesi in modo significativo, fattore che riflette soprattutto le prospettive di un possibile rallentamento economico più marcato nel 2022, oltre ai timori per la diffusione della più recente variante Omicron. Questa traiettoria discendente ha subito un’ulteriore accelerazione quando il presidente della FED Jerome Powell, recentemente riconfermato per un nuovo mandato, ha improvvisamente assunto un tono più aggressivo sull’inflazione, confermato la necessità di inasprire la politica monetaria prima del previsto.

L’aumento dei prezzi costringe gli investitori ad adattarsi a un nuovo scenario che è cambiato in meno di un anno, passando da un “quantitative easing forever” e da una situazione di tassi d’interesse “lower for longer” a un contesto in cui ci si aspetta un significativo inasprimento delle politiche monetarie a livello globale. Gli sviluppi recenti richiedono però un’analisi più approfondita e diversificata a livello regionale.

Infatti, se da un lato le attese per l’economia statunitense e quella europea sembrano sempre più differenti, dall’altro le aspettative dei mercati finanziari per il futuro andamento dei tassi di interesse sembrano più allineate del dovuto. Per quanto riguarda le rispettive politiche monetarie, crediamo che ci siano buone possibilità che il quadro monetario in Europa resti molto più accomodante rispetto a quello degli Stati Uniti.

Da un lato, l’economia statunitense sembra molto più resiliente, rispetto al resto del mondo e in particolare all’Europa, ai venti contrari che dovrebbero avere un impatto sul ciclo economico globale l’anno prossimo, come la nuova ondata di Covid, lo shock dei prezzi dei prodotti alimentari ed dell’energia, o il rallentamento del settore immobiliare cinese. D’altra parte anche l’inflazione dovrebbe essere molto più persistente negli Stati Uniti, soprattutto a causa della rigidità del mercato del lavoro, ma anche per il suo forte impatto sul settore immobiliare.

Anche se la BCE dovesse annunciare la fine dell’attuale programma di acquisti di asset legati alla pandemia, ne prevediamo un altro con un importo mensile inferiore a partire da marzo 2022. Al contrario, negli Stati Uniti, un’accelerazione della riduzione degli acquisti di asset da parte della Fed rischia di aprire la strada ai rialzi dei tassi di interesse, possibilmente già a metà del 2022. In ogni caso, gli attuali bassi livelli dei tassi europei ci spingono a mantenere un approccio prudente nella regione.

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