Inapp: "Cresce contrattazione collettiva, ma solo il 4% delle imprese usa il secondo livello"

- di: Redazione
 

Si è tenuto il convegno “Crisi dei salari e pressioni sul modello retributivo” organizzato dall’Inapp insieme all’Università degli Studi del Sannio a Benevento: secondo i dati esposti, la contrattazione collettiva è cresciuta negli ultimi 4 anni, passando dal 75% all’87%, mentre è restata pressoché invariata quella di secondo livello che nel 2022 è stata applicata solo dal 4% delle imprese.  

Inapp: "Cresce contrattazione collettiva, ma solo il 4% delle imprese usa il secondo livello"

Stando alle statistiche delle due rilevazioni precedenti, la quota di imprese, con almeno un dipendente, che dichiara di aver aderito al CCNL è passata dal 75% all’87% misurando quindi un aumento di circa 12 punti percentuali, un dato che nasconde tuttavia profonde eterogeneità rispetto al settore, alla dimensione e alla localizzazione geografica dell’impresa. Infatti se guardiamo alle imprese grandi, con più di 250 dipendenti, la quota di quelle che decidono di applicare la contrattazione collettiva è uguale al 98% mentre tra quelle con meno di 10 impiegati è pari al 84%, inoltre tra le imprese del Nord la quota di quelle che adottano la contrattazione collettiva nazionale è pari al 88% mentre tra quelle del Sud/isole scende all’86%.

Guardando poi alla contrattazione di secondo livello, la situazione è peggiore: la quota di imprese che dichiarano di applicarla si aggira intorno al 3,5% nel 2018 al 4% nel 2022. Tuttavia, se da un lato la percentuale è molto bassa, dall’altro, negli ultimi 4 anni, si è registrato un lieve incremento forse anche a seguito di politiche soft di promozione del decentramento della contrattazione collettiva, cioè politiche che incentivano la diffusione autonoma dello stesso secondo livello attraverso la leva economica.

Sebastiano Fadda, Presidente dell'Inapp (nella foto), ha commentato: “Grandi dimensioni d’impresa e sindacalizzazione della forza lavoro sono determinanti positive della copertura della contrattazione collettiva sia di primo che di secondo livello la probabilità di applicare un contratto di secondo livello aumenta tra il 10 e il 14% se in impresa vi è una rappresentanza sindacale. È pur tuttavia vero che oggi i sindacati riescono a coprire soprattutto i lavoratori strutturati delle grandi imprese (e anche questi  non sempre con efficacia per quanto riguarda l’andamento dei salari reali) ma non dobbiamo dimenticare che c’è una ‘realtà parallela’ che sfugge alla rappresentanza sindacale a causa della polverizzazione delle attività lavorative, basti ricordare i tanti lavoratori atipici, a tempo, impegnati nella gig economy, che compongono di fatto quel grande filone di working poor e che non hanno rappresentanza. Cosa si può fare per loro? Si è molto discusso nel nostro Paese dell’introduzione di un salario minimo ma il timore di alcuni è che una volta stabilito un minimo per legge le imprese si limitino a pagare quel minimo, abbandonando il contratto collettivo, oppure che se stabilito a un livello troppo elevato possa rendere inutili i contratti collettivi. Eppure, un salario minimo per legge non sarebbe un salario sostituivo dei salari definiti dalla contrattazione collettiva, ma semplicemente una soglia minima invalicabile al di sotto della quale le retribuzioni non possono scendere, ci sia o non ci sia contrattazione collettiva. Attraverso quest’ultima le organizzazioni sindacali possono dispiegare tutta la loro forza per raggiungere livelli salariali più alti. Quindi i due sistemi (salario minimo e contrattazione collettiva) possono convivere e rafforzarsi a vicenda, stabilendo dei parametri oggettivi che abbiano il fine di tutelare tutti i lavoratori, nessuno escluso”.

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