Grandi speranze

- di: Massimiliano Lombardo
 

Le recenti elezioni europee non hanno portato l’irruzione di quel vento nuovo che alcuni speravano e molti temevano. Sono stati sostanzialmente confermati gli assetti precedenti al voto, con una maggioranza riferibile alle tradizionali famiglie dei socialisti e dei popolari, con l’aggiunta di liberali e verdi, ed un aumento non trascurabile delle forze cd. anti-sistema, che però rimangono, ancora per questa tornata, marginali rispetto al governo delle istituzioni europee.
Quel vento è dunque al momento declassato a brezza marina. Gli esperti di meteorologia sanno che questa è causata da una depressione che si forma per effetto di una differenza di temperatura; in termini politici, il calore dei movimenti sovranisti (auto-dipinti come rivoluzionari) che si scontra con la più fredda temperatura dei partiti europeisti (visti invece come conservatori).
I prossimi governanti dell’Unione faranno bene ad evitare di adagiarsi sullo “scampato pericolo”: al contrario avranno la grande responsabilità di mettere in campo, in maniera rapida ed efficace, quelle sane e necessarie azioni di rinnovamento della costruzione europea, per far sì che quell’ondata di calore “anti-sistema”, sin qui contenuta, non si diffonda ed aumenti di intensità. La brezza si trasformerebbe in vento impetuoso ed infine burrasca, spazzando quanto di buono si è fatto e si potrebbe (dovrebbe) ancora fare nella nostra Unione Europea.
L’aspetto maggiormente degno di nota, e per certi versi sottostimato alla vigilia, è stata l’affermazione in molti Paesi europei di partiti di stampo liberaldemocratico, ed ancora più di quelli di ispirazione ambientalista.
I verdi sono risultati il secondo partito in Germania, con il 20,5% ed il terzo partito in Francia (13,5%), con importanti affermazioni anche negli altri paesi europei, scandinavi in testa.
L’Italia va in controtendenza e rappresenta, ancora una volta, un’anomalia. Qui i due movimenti, liberale e verde, sono molto scarsamente rappresentati ed hanno avuto risultati elettorali praticamente inesistenti (oscillanti tra il 2 e il 3%). I politologi e i sondaggisti sapranno indagare se queste due anime si nascondono nel folto gruppo degli astenuti (44%), e pertanto non trovano espressione in leader o soggetti politici che le rappresentino adeguatamente, o se invece non suscitano proprio interesse negli orientamenti e nelle convinzioni degli italiani. Si tratta in entrambi i casi di un vuoto che pesa, di uno spazio che avrà bisogno di essere riempito.
Sorprende soprattutto la scarsa affermazione dei movimenti ambientalisti in un periodo in cui, anche nel nostro Paese, è fortemente aumentata nell’opinione pubblica la sensibilità al fenomeno dell’emergenza climatica, soprattutto tra i giovani; si pensi al movimento dei Friday for future, che ha costituito un collante di una protesta studentesca che supera le tradizionali ideologie politiche e mette l’agenda ambientale al primo posto, con le preoccupazioni per il futuro del pianeta ed il benessere, sia in termini di salute ma anche di economia e lavoro, delle nuove generazioni. Ed è proprio ai giovani che occorrerebbe pensare nel formulare un programma ambizioso di investimenti finanziari pubblici e privati per la riconversione energetica, l’efficientamento, il risparmio, il recupero e il riutilizzo.
E’ vero che il nostro Paese ha nell’ultimo decennio incrementato in misura notevole la produzione energetica da fonti rinnovabili (che oggi copre circa il 35% dei consumi), raggiungendo in anticipo gli obiettivi UE 2020, ma è un settore in cui vi sono ancora ampi spazi di crescita, di innovazione tecnologica e di investimento.
Nel Rapporto Attività 2018 il Gestore dei Servizi Energetici ha rilevato che le azioni nei settori delle rinnovabili e dell’efficienza energetica hanno consentito un risparmio di 45 milioni di tonnellate di CO2 e attivato investimenti diretti per 2,6 miliardi. Si può fare molto di più, il nostro Paese ha la conformazione geografica, le capacità e le tecnologie per migliorare notevolmente questa performance. Estendendo gli investimenti alla produzione diffusa da rinnovabili, all’efficientamento energetico ed alla riqualificazione del patrimonio immobiliare, verrebbero attivati posti di lavoro, risparmi pubblici e privati, e benefici su una filiera che va del settore dell’energia e delle tecnologie a quello edile, oggi in profonda crisi.
Farne un caposaldo dell’azione di governo sarebbe un segnale di grande lungimiranza e speranza per il futuro, che risulterebbe apprezzato da una larga parte dell’opinione pubblica. Il programma si inserirebbe inoltre negli obiettivi di investimento di medio e lungo termine previsti e favoriti dai fondi strutturali europei, cronicamente sottoutilizzati dal nostro Paese.
Nelle Considerazioni finali del 31 maggio il Governatore della Banca d’Italia ha ricordato ciò che è evidente a chiunque osservi la dinamica dei conti pubblici degli ultimi 20 anni rispetto ai precedenti 20, cioè che senza l’Europa l’Italia sarebbe più povera, aggiungendo: “Quelli che sono percepiti come costi dell’appartenenza nell’area dell’euro sono, in realtà, il frutto del ritardo con cui il Paese ha reagito al cambiamento tecnologico e all’apertura dei mercati a livello globale. Sta a noi maturare la consapevolezza dei problemi e affrontarli, anche con l’aiuto degli strumenti europei”.
Un saggio invito a ricercare le soluzioni in casa propria invece che dare le colpe all’esterno, concluso con l’appello alla responsabilità dei governanti nazionali e ad evitare pericolose scorciatoie, affidato alla dotta citazione di Wittgenstein (le parole sono azioni) rafforzata dall’aforisma di Elias Canetti “nell’oscurità le parole pesano il doppio”. Prendendo a prestito le allegorie del Sommo Poeta, nella selva oscura in cui il nostro Paese sembra dibattersi negli ultimi tempi, non v’è solo il rischio di smarrire la retta via ma anche l’opportunità di ritrovare la luce che conduce a risalire la china.
Più che solitari condottieri, serve una coscienza collettiva che muova le migliori energie che si trovano in Italia. Di fronte a chi dubitava o voleva contrapporgli la crudezza delle circostanze reali, Giorgio La Pira ricordava la necessità di coltivare sempre l’aspettativa in un futuro migliore, con l’audacia di chi sa “osare l’inosabile”.
Come nel noto romanzo di Dickens “Great Expectactions”, da cui abbiamo preso a prestito il titolo, la storia può sempre avere due finali alternativi, sta a noi scrivere quello migliore.

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Italia Informa n° 1 - Gennaio/Febbraio 2024
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