Cara Ursula, metta da parte le parole e faccia qualcosa di concreto

- di: Redazione
 
Sentire ieri il presidente della Commissione europea, Ursula von Der Leyen, parlare del tetto del prezzo del gas, quando le economie del continente sono devastate dalle conseguenze, in campo energetico, della guerra in Ucraina, ha dato l'immagine plastica di una istituzione che ancora non riesce ad agire da organismo politico transnazionale, facendosi troppo condizionare dagli interessi di alcuni Stati.
Ieri, sentendo von Del Leyen dire che l'Ue è pronta ''a discutere un tetto per il prezzo del gas per produrre energia'', si è avuta l'impressione di una presa d'atto tardiva, e quindi colpevole (non per dolo, comunque), di una situazione andata ormai fuori controllo soprattutto per le tattiche attendistiche adottate da Bruxelles, per incapacità di agire o forse per la volontà di non entrare in rotta di collisione con gli interessi di alcuni Stati membri che, quando si tratta di tutelarsi, preferiscono l'autonomia allo spirito solidale.

Dopo le dichiarazioni dalla Commissione Ue sul prezzo del gas, ora servono i fatti

Nel momento in cui il presidente della Commissione Ue ha indossato la faccia truce delle grandi occasioni verrebbe da dire che lo ha fatto con troppo ritardo (Mario Draghi aveva avanzato questa richiesta da mesi), quando ormai i buoi sono già fuggiti dalle stalle. Un modo di dire che questo annuncio (si badi, annuncio perché di atti concreti ancora non c'è ombra) è arrivato quando ormai le economie di molti Paesi (non tutti, come nel caso dei Paesi Bassi) sono pesantemente condizionate dalla mancanza di una risposta unitaria al ricatto energetico portato avanti da Vladimir Putin, che - responsabile di un atto esecrabile e in aperta violazione dei diritti di un Paese sovrano - sta giocando le sue carte, sapendo che solo la leva economica può salvarlo dal disastro.

Viene a questo punto spontaneo chiedersi perché la commissione abbia agito scegliendo una tempistica inadeguata, quali siano i motivi reali, se i condizionamenti esterni siano talmente forti da fermare una reazione che avrebbe dovuto essere immediata, in pochi giorni, e non invece modulata in settimane e mesi.
Il più cattivo dei retropensieri porta a guardare con sospetto al timore che Ursula von Der Leyen nutre che alcune decisioni possano inimicarle Paesi importanti in seno all'Ue, ma certo non più importanti di quelli che, come Francia e Italia, hanno reclamato sin dall'inizio una politica fatta di decisioni che non si limitassero alla pure potentissima arma delle sanzioni, che mirano a indebolire economicamente nel medio e lungo periodo la Russia, ma concedendole il tempo di reagire. Come ha fatto chiudendo i rubinetti del gas e avviato un lento strangolamento energetico dell'Europa.

La voce grossa che oggi fa il presidente della commissione Ue sembra molto flebile davanti alle mosse di un Paese ''a caso'', la Germania - il suo Paese -, che in totale autonomia e, diciamolo, fregandosene dell'Europa, ha messo mano ad un ancora ricchissimo portafoglio gettando sul tavolo un pacchetto da 200 miliardi.
Un'azione che sia targata Ue, per essere forte e determinante non può prescindere dall'unanimità e dalla coerenza dei comportamenti degli Stati. Bacchettare la Germania, ma solo dopo, è una ulteriore prova di debolezza. Ma qui non si gioca una partita solo politica, ma di sopravvivenza. E la gente ha diritto di vivere, soprattutto quelli che non abitano in Germania e Paesi Bassi.
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