Ustica: Amato, tante parole, nessuna prova. A chi è giovata la sua intervista?

- di: Redazione
 
Le dichiarazioni di Giuliano Amato su quanto accadde nel 1980 all'aereo di Itavia, sui cieli di Ustica, tutto sono fuorché rivelazioni, dal momento che riferiscono cose di cui da tempo si parla e che restano nell'ambito delle ipotesi: è accaduto questo perché prima era successo altro, perché ancora prima forse c'era stata qualche altra cosa, perché qualcuno ha mentito.

Parole che hanno riaperto un dibattito, ma che, se ci si ferma un attimo per valutarle, non sembrano avere squarciato chissà quale velo di mistero perché è un sospetto antico quello secondo cui la tragedia di Ustica sia conseguenza di una battaglia nei cieli o di un razzo partito contro il bersaglio sbagliato (quello vero sarebbe stato Muammar Gheddafi, allora dittatore libico e nemico della Francia per la guerra in Ciad).

Ma, se la fonte è Giuliano Amato, uomo per tutte le stagioni semmai ce n'è uno, ecco che le sue tesi diventano importanti, e guai se così non fosse per rispetto al suo passato.

In proposito comunque bisogna guardare alla sua figura come a quella di un civil servant, nell'accezione di uomo delle Istituzioni, ma con una deriva ibrida, avendo egli incarnato anche il potere politico, il massimo. Di conseguenza quel che dice deve essere sempre valutato con attenzione. Un'attenzione che, ci si consenta di rilevarlo, non è stata riservata alle domande che tutti dovrebbero porsi sulla genesi dell'intervista, lunghissima, a Repubblica che ha rilasciato.

Ustica: Amato, tante parole, nessuna prova. A chi è giovata la sua intervista?

Ovvero: perché il quotidiano si è rivolto ad Amato per parlare di Ustica? Cosa è stato a muovere il quotidiano a indurlo a parlare di un caso irrisolto? O è stato lo stesso Amato a chiedere di parlare?
Per chi è poco aduso alle tecniche giornalistiche, spieghiamo che, al 99 per cento, interviste o servizi su un determinato evento vengono fatte in occasione di un anniversario o di clamorose quanto inattese rivelazioni. Cosa che, nel caso di Amato e di Ustica, non sembra esserci stata, essendo l'anniversario della strage (27 giugno 1980) caduto oltre due mesi prima. Si potrebbe dire che non sono fatti che ci riguardano, ma resta il dubbio sulla tempistica di questa intervista, fatta bene, lo diciamo subito, ma che ha dato l'impressione di avere voluto concedere all'ex di tante cose (ministro, presidente del consiglio, giudice e poi presidente della Corte costituzionale e altre cose che, ora, ci sfuggono) una immensa platea e, con essa, la possibilità di volere togliersi qualche datato sassolino dalla scarpa. Anzi, da tutti e due le scarpe, considerato che ne ha avuto per tanti. A cominciare dalle nostre Forze armate, con particolare riguardo all'Aeronautica militare, sulla quale lasciato aleggiare ben più che semplici sospetti, tra menzogne e depistaggi.

Ma Amato non ha portato nulla di concreto a suffragio delle sue affermazioni
, in sostanza rimasticando argomenti datati che forse hanno ripreso a generare interesse solo perché lui li ha ripresi, ma che non per questo sono diventati più fondati.
Se - come oggi qualche quotidiano ipotizza - Giuliano Amato potrebbe essere convocato dai pm (il 'fascicolo Ustica' è ancora aperto sul tavolo del procuratore capo di Roma, Francesco Lo Voi) , anche dando il massimo credito all'intervista, non sembrano esserci possibilità di fare chissà cosa.

Per sintetizzare, negli Stati Uniti le parole di Amato sarebbero ritenute non utilizzabili in un processo perché riportate per sentito dire, senza uno straccio di prova documentale che le accrediti. E, allora, 'cui prodest'?

A chi è servito tirare fuori questa storia a distanza di 43 anni, pur nella considerazione che la tragedia è rimasta senza colpevoli, ma solo con tanti sospetti?

Sembra l'ennesimo capitolo della storia dell'Italia dagli anni '60 ad oggi, da quando troppi eventi drammatici si sono chiusi anche con condanne, ma mai dando certezze che la verità sia stata veramente accertata.
Ustica, Moro, il piano Solo, le varie stragi di incerta attribuzioni hanno contribuito a rendere il nostro Paese meno sicuro, ma anche privo di quel senso di giustizia che è necessario, che dovrebbe costituirne una delle fondamenta della democrazia.
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