Una mobilitazione imponente sotto lo slogan “Workers Over Billionaires”: proteste, marce e rabbia in tutte le città, contro Trump e le disuguaglianze.
Un Labor Day di fuoco in America
Ieri primo settembre, primo Labor Day del secondo mandato di Donald Trump, si è trasformato in un giorno di protesta diffusa. Migliaia di lavoratori e attivisti hanno invaso le piazze statunitensi, da New York a San Francisco, da Chicago a Washington, uniti da un motto semplice e potente: “Workers Over Billionaires”. Nel mirino, la disuguaglianza che si allarga, la percezione di un governo orientato ai grandi patrimoni e la richiesta di salari dignitosi, contrattazione vera e servizi pubblici funzionanti.
Scene da ogni angolo: cronaca e città
New York. Davanti alla Trump Tower, la protesta ha scelto il linguaggio dei simboli: un “ristorante in strada” ha servito tacos per alludere all’acronimo satirico “Trump Always Chickens Out”. Cartelli e cori hanno puntato dritto al cuore del potere economico, denunciando “l’1%” e rivendicando dignità sul lavoro.
Chicago. La città che ama definirsi la culla del movimento per i diritti dei lavoratori è tornata a riempire le strade. La parola d’ordine è stata difesa dei quartieri e dei servizi, con la richiesta che nessuna risposta alla protesta passi per la militarizzazione degli spazi urbani.
San Francisco. Nel Mission District, sindacati e reti civiche hanno portato in piazza il tema dei tagli federali e della precarietà nel settore pubblico e privato. In evidenza, la richiesta di protezioni più robuste per lavoratrici e lavoratori a basso reddito.
Seattle. Sullo sfondo delle grandi aziende tech, molti manifestanti hanno collegato la difesa dei diritti del lavoro al tema del controllo tecnologico e delle retate anti-migranti, domandando trasparenza e limiti all’uso di piattaforme e algoritmi nella sorveglianza.
Houston. Nonostante il caldo torrido, i cortei hanno messo a fuoco il legame tra salari stagnanti, costo della vita e concentrazione della ricchezza. Famiglie, studenti e sindacalizzati hanno condiviso storie personali, trasformando il Labor Day in una sorta di assemblea civica all’aperto.
Washington. Nel cuore della capitale, una “Freedom Run” ha attraversato i quartieri centrali: corridori con magliette e cartelli hanno scandito la giornata, ribadendo la richiesta di un patto sociale che rimetta al centro il lavoro.
Il contesto politico e le accuse
La scena è stata dominata da una contraddizione plastica: da un lato, all’esterno del Dipartimento del Lavoro è comparso un enorme striscione con il volto del presidente e lo slogan “American Workers First”; dall’altro, piazze e cortei hanno accusato la Casa Bianca di aver favorito interessi aziendali e grandi patrimoni. Al centro del contendere, la fatica della contrattazione, il ridimensionamento di norme di sicurezza e la retorica anti-sindacale che molti attribuiscono all’amministrazione.
La presidente dell’AFL-CIO, Liz Shuler, ha sintetizzato il sentimento del movimento: “A parole sembra stare con i lavoratori, ma nei fatti agisce per CEO e miliardari”, ha accusato, parlando di un “tradimento” rispetto alle promesse di campagna.
Dal fronte governativo è arrivata una replica speculare: “Nessuno ha fatto più per i lavoratori”, ha ribattuto la portavoce della Casa Bianca, rivendicando tagli fiscali, crescita dell’occupazione e sforzi per la competitività industriale.
Dalle piazze arriva un messaggio netto
Questo Labor Day manda un messaggio netto: il patto tra democrazia e lavoro è la vera cartina di tornasole del tempo presente. Lo slogan “Workers Over Billionaires” non è un vezzo comunicativo; è la formula breve di una frattura sentita. Se il governo non intercetta questa domanda di giustizia salariale, diritti e servizi, la polarizzazione rischia di intensificarsi. Al contrario, una stagione di politiche pro-lavoro e di contrattazione avanzata potrebbe trasformare la protesta diffusa in energia di riforma. Settembre 2025 consegna al Paese un bivio: o si ricuce il tessuto sociale, oppure ci si abitua a un’America che protesta—e non arretra.