Usa: Biden subito al lavoro per rimettere assieme un Paese a pezzi
- di: Brian Green
Joe Biden si è messo immediatamente al lavoro per rendere l'America un Paese nuovamente unito e che abbia sempre il rispetto della democrazia come base del proprio agire. Subito dopo che la cerimonia ufficiale del giuramento e le celebrazioni ad essa collegate erano finite, il presidente ha cominciato a spuntare, sulla sua agenda politica, tutte le cose che in campagna elettorale aveva promesso di fare non appena messo piede, come comandante in capo degli Stati Uniti, alla Casa Bianca. Passi importanti, come riabbracciare la lotta ai cambiamenti climatici (ostinatamente negati da Trump) o riprendere a collaborare con l'Organizzazione mondiale della Sanità e, infine, imporre l'uso della mascherina negli uffici federali e da parte dei funzionari dello Stato, una prima misura per cercare di contrastare il diffondersi del Covid-19.
Il suo discorso, davanti alla spianata semivuota del Campidoglio, non è stato trascinante, non ha scatenato l'empatia che, per fare solo un esempio, aveva caratterizzato il primo, da presidente, di Obama. Ma era il discorso che tutti si aspettavano, improntato alla ricerca di una pacificazione che rimetta insieme i cocci del Paese dopo i quattro anni divisivi del suo predecessore.
Ma la strada è lunga e, purtroppo, ancora segnata dal clima da "noi contro tutti" che Donald Trump ha perseguito con la sua Amministrazione sino all'ultimo, sino al momento in cui Biden ha posato la mano sinistra sulla bibbia per pronunciare la formula del giuramento.
La cerimonia non ha avuto contrattempi sia per il rigido cerimoniale (presenze contingentate, in una Washington in stato d'assedio), sia perché le temute proteste dei sostenitori di Trump si sono limitate a isolati contestatori, sempre tenuti a distanza dal Campidoglio.
Ma il difficile, per Joe Biden, arriva ora, quando l'elefantiaca macchina della nuova amministrazione dovrà prendere possesso di competenze e uffici per partire. In questo non certo aiutata dalla passata amministrazione che, per ordine di Trump, ha disseminato di trappole quel che ha lasciato, nella speranza di creare solo problemi a quella di Biden. Non è una tattica nuova - anche altri presidenti l'hanno attuata in passato -, ma non nell'era della televisione e della Rete, dove tutto è palese, dove tutto si può documentare.
Ora bisognerà aspettare il momento quando, sulla scrivania del 46/mo presidente arriveranno i primi dossier veramente delicati, dall'economia (e quindi i rapporti tra Stati e con blocchi) alla politica internazionale (nella quale i soliti "vecchi amici", a cominciare dalla Corea del Nord, hanno dato il benvenuto mostrando i muscoli).
Il classico giochino delle coincidenze ha colpito anche Joe Biden che si è insediato nello stesso giorno in cui, esattamente 40 anni fa, finiva l'incubo per i 52 funzionari e impiegati dell'ambasciata americana a Teheran sequestrati, 444 giorni prima, da "studenti islamici", secondo la definizione che ad essi fu data dal regime teocratico iraniano guidato dall'ayatollah Ruollah Khomeini.
Il punto più alto della perenne crisi nei rapporti tra Iran e Usa, dopo la caduta dello shah Reza Pahlavi, da sempre sostenuto da Washington. Difficile credere ad una veloce composizione di una dura contrapposizione, ma Biden deve impegnarsi per una ridefinizione dei rapporti, a partire dal delicato capitolo del nucleare, di cui Teheran ormai fa manifestamente riferimento come strumento di difesa, quindi per uso militare.
E Trump?
L'ex presidente, raggiunta la sua residenza di Mar-a-lago, in Florida, non sembra ancora accettare lo sfratto dalla Casa Bianca, facendo capire che non ha nessuna intenzione di cedere la scena. Come da copione e conoscendo il carattere vendicativo che lo ha sempre caratterizzato (anche prima della sua elezione), ha continuato a fare dispettucci, l'ultimo dei quali quello di non avere consegnato materialmente al suo successore - che non ha voluto incontrare - la valigetta con i codici nucleari, la famosa "football", imponendone quindi la duplicazione. Bisognerà ora aspettare che sbollisca la rabbia e renda pubblica la sua decisione su come restare al centro dell'attenzione, da cane guida di un partito che non ha ancora smaltito la botta elettorale o, come pare, come creatore di una nuova formazione che si rifaccia ai patrioti, una definizione che in America potrebbe raccogliere molti consensi anche in ambienti che potrebbero essere pericolosamente eversivi.