Prof. Bonini, lei ricopre il ruolo di Rettore dal 2014, ed è stato recentemente confermato per altri 4 anni. Quali sono i compiti di un Rettore, qual è il suo ruolo e quali sono gli obiettivi, pensando al futuro di questa prestigiosa Università situata nel cuore di Roma?
Il rettore è il coordinatore e motivatore di una macchina complessa come un’università e, nello stesso tempo, deve finalizzare questo sforzo ad alcuni obiettivi, cercando di far sì che tutto il corpo accademico segua un percorso comune, assicurando il rinnovamento e il miglioramento continuo della struttura. Gli elementi gerarchici funzionano sempre meno in un contesto di amministrazione complessa: oggi il vero esercizio di leadership consiste nella capacità di guidare una realtà complessa come una comunità. D’altra parte l’università, nella sua radice, è una comunità. La priorità che ci siamo dati oggi è quella che chiamo innovazione di prodotto: il titolo universitario deve sempre più corrispondere a una serie di competenze, le quali progressivamente si sono sganciate dalla griglia classica degli esami tradizionali. Per cui rinnovare il prodotto significa far sì che gli studenti possano, nel corso della loro esperienza universitaria, da un lato assumere le conoscenze attraverso i corsi tradizionali, ma dall’altro assumere anche una serie di abilità trasversali ed esperienze di vita che li aiuteranno nell’inserimento nel mondo del lavoro. Quando ero studente quello dell’università era un tempo disteso, in cui lo studente oltre allo studio poteva fare contestualmente altre esperienze formative. Oggi con la mentalità neoliberista dei vincoli di carattere formale, il tempo dell’università è un tempo “strozzato”, nel quale lo studente non può fare altre esperienze ed è costretto a percorrere un tunnel formativo: questo è altamente diseducativo in un contesto di richiesta di capacità critiche e di abilità trasversali. La nostra università che è nata da un progetto educativo nell’ormai lontano 1939 non può non porsi questo problema, mettendo lo studente al centro.
La LUMSA è il secondo ateneo più antico di Roma dopo La Sapienza. Può raccontarci qualcosa in più sulle origini della LUMSA che, come sappiamo, è stata fondata nel 1939 da Luigia Tincani e dal cardinale Giuseppe Pizzardo?
La LUMSA nasce per la necessità che c’era ed era sentita dal mondo cattolico dell’epoca di assicurare una formazione per i professori che fosse ispirata a criteri diversi da quelli che il regime fascista stava imponendo all’università italiana. Era un’esigenza di libertà. Alla fine degli anni ’80, la LUMSA si trasforma da Istituto Superiore di Magistero parificato nell’Università che conosciamo oggi, la Libera Università Maria Santissima Assunta (identificata con l’acronimo LUMSA) allargandosi dai corsi di magistero, educazione, servizio sociale e lingue a psicologia, scienze della Comunicazione, Giurisprudenza, Scienze Politiche, Economia, offrendo insomma un ventaglio sempre più ampio, ma coerente, di scelte didattiche per una popolazione studentesca in espansione continua.
Cosa vuol dire oggi essere un’università di ispirazione cattolica?
Università cattolica significa schematicamente due cose: una apertura “universale”, che si traduce anche nella partecipazione al network delle università cattoliche nel mondo. Con alcune di esse (università cattoliche di Australia, Cile e Francia) abbiamo costruito un dottorato internazionale innovativo sull’umanesimo, proprio per sviluppare questa nostra identità. In secondo luogo significa apertura mentale e formazione critica: nel nostro percorso di studi è presente anche l’esame di teologia che serve ad aprire la mente e aprirsi al servizio e al dialogo con tutti, sui gradi temi della persona.
La LUMSA sta per compiere 80 anni. Come si è evoluta nel tempo? Quali sono le tappe che hanno distinto questa evoluzione?
Il nostro sviluppo risponde innanzitutto dall’impegno di formare: educatori, professori, professionisti. Ne deriva una crescita quantitativa dell’offerta formativa, che oggi è la più ampia delle diverse Università non statali che sono attive a Roma. In questo percorso progressivo e coerente una tappa significativa è stata, 20 anni fa, l’apertura della nostra sede di Palermo. Nel 1996 il cardinale Pappalardo di Palermo ci ha prospettato di aprire una sede proprio in Sicilia per svolgere un servizio finalizzato a formare talenti per far crescere la società siciliana e italiana in generale. C’è un impegno sempre maggiore per investire su Palermo, con la nostra costitutiva dimensione internazionale. Su Roma questa dimensione è più evidente, anche guardando alle iniziative della Santa Sede, abbiamo investito su Palermo proprio anche come punto di vista per guardare ad un mondo in rapido cambiamento, valorizzando un orizzonte come quello del Mediterraneo che oggi è decisivo nelle diverse direzioni.
Ci ha particolarmente colpito l’attenzione allo studente come persona: anche il rapporto tra docenti e studenti sembra essere un rapporto che vi caratterizza rispetto ad altre università. Come ci riuscite?
Questa è una operazione che a noi piace chiamare dimensione artigianale dell’insegnamento. Il rapporto fra il docente e lo studente non può mai essere quello che vorrebbe una certa impostazione culturale, che è quella della sola trasmissione di nozioni o di mera formazione a delle abilità: ci deve essere un qualcosa di più, uno scambio autentico che mette in gioco entrambe le parti: l’ambiente che qui da noi si respira e che permette lusinghieri risultati in termini di carriera di studi, si costruisce con un continuo lavoro artigianale, di pratica e consuetudine. La comunità accademica è fatta di tre gambe: studenti, docenti e personale amministrativo. Tutte componenti indispensabili per costruire un ambiente educativo e formativo, cosa che ci viene riconosciuta da tutti.
Giovani e lavoro. L’Università deve favorire l’ingresso degli studenti nel mondo del lavoro. Di quali strumenti vi avvalete per sostenere questo processo?
Lo strumento più rilevante è LUMSA Talent Accademy: noi seguiamo i nostri studenti cercando di formarli adeguatamente al mondo del lavoro e favoriamo attraverso questo sistema l’incontro in giornate dedicate con imprese e realtà del mondo del lavoro stesso. Abbiamo anche aperto degli incubatori di imprese per cercare di stimolare la creatività dei nostri studenti. I dati dell’occupabilità LUMSA sono in linea con quelli delle altre università e, soprattutto, puntiamo sulla possibilità che i nostri studenti acquisiscano capacità trasversali: in questo senso abbiamo investito molto sulle lingue per far sì che i nostri studenti escano dalla nostra formazione sapendo almeno due o tre lingue e con l’adeguata certificazione.
LUMSA Talent Accademy, quanti studenti vi accedono e come si entra?
Ai Job corner (le postazioni presenti nelle nostre sedi) tutti gli studenti possono accedere e avere una costante interazione: due o tre volte all’anno si svolgono degli incontri tra gli studenti e le aziende. Gli studenti vanno guidati in questo percorso perché, paradossalmente, nonostante la situazione complicata riguardo l’occupazione giovanile in Italia, gli studenti tendono ad occuparsene quando il problema si presenta in maniera impellente ed anche questa situazione degli studi universitari in formato 3+2 non stimola molto gli studenti a farsi imprenditori di se stessi. Per questo cerchiamo di seguirli e sollecitarli, cercando di fargli utilizzare tutti gli strumenti a disposizione, come ad esempio l’Erasmus.
Parlando sempre di lavoro, quali sono i settori nei quali gli studenti dovrebbero orientarsi e quali sono, invece, i mestieri destinati a sparire?
Siamo un’università umanistica e negli ultimi 10 anni abbiamo assistito in Italia a trend differenti dei diversi corsi di laurea: così per Giurisprudenza, ora in fase di declino, o per Psicologia, invece in costante crescita, come Lingue, ovvero Scienze della Comunicazione che ha raggiunto, come Economia o Scienze Politiche, una certa stabilità. L’appeal delle diverse lauree nel settore umanistico ha dei cicli diversi, ma ci sono spazi significavi. Si pensi a tutto il settore dell’educazione, che si sta sviluppando in modo significativo. Ha comunque costante bisogno di innovazione, di inserimenti di competenze trasversali, valorizzando la gestione dei dati, ad esempio, oltre ovviamente le competenze linguistiche ed informatiche certificate. Fondamentale poi il terzo ciclo, ovvero i dottorati e più in generale il post laurea, sul quale abbiamo accelerato gli investimenti, con LUMSA Master School. Tra i settori di punta giornalismo, psicologia, sviluppo sostenibile, diritto vaticano, politica e relazioni internazionali. L’Università è un luogo che può intercettare tutte le esigenze lungo la vita professionale ben al di là della laurea.
Per chiudere parliamo di ricerca, aspetto importante che vede la LUMSA piuttosto coinvolta. Come sostenete la ricerca?
Come molte altre realtà universitarie, devolviamo tutto il nostro 5 per mille alla ricerca, gestita dal CARI (Centro di Ateneo per la ricerca e l’internazionalizzazione), a partire dalla partecipazione a bandi competitivi europei. con i nostri dottorati presidiamo tre importanti aree inter-disciplinari: l’area dell’umanesimo contemporaneo, l’area dell’economia civile e la questione del benessere delle persone. Per sviluppare la ricerca è importante stimolare una sana competizione: competizione non vuol dire cannibalizzazione e lotta interna, ma miglioramento del sistema delle relazioni tra i ricercatori al fine di competere e lavorare insieme. Ricerca significa anche capacità di relazioni, non a caso tutte le nostre risorse sono inserite nelle reti romane, nazionali ed internazionali. La valutazione di ANVUR (Agenzia Nazionale di Valutazione del Sistema Universitario e della Ricerca) ci ha dato ottimi risultati: la LUMSA è presente nei cosiddetti primo e secondo quartile in pressoché tutte le aree, con punte di eccellenza in alcuni settori di grande importanza, come per esempio nel diritto pubblico e nel diritto civile, oltre che nell’economia e nelle scienze sociali.