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Unit e Treasuries: la nuova sfida Brics al dollaro

- di: Marta Giannoni
 
Unit e Treasuries: la nuova sfida Brics al dollaro
Unit e Treasuries: la nuova sfida BRICS al dollaro

Oro, blockchain e vendite di debito Usa: il blocco rilancia la pressione “anti-greenback”, ma la realtà (per ora) è fatta di test, infrastrutture incomplete e mosse graduali.

(Foto: una riunione dei Brics).

Un doppio segnale: moneta “di scambio” e taglio dell’esposizione Usa

Nelle ultime settimane, la narrativa BRICS sulla riduzione della dipendenza dal dollaro ha preso due strade parallele. Da un lato, l’eco (molto amplificata) di una nuova unità di regolamento battezzata “Unit”, descritta come strumento digitale ancorato in parte all’oro. Dall’altro, un dato ben più solido: la fotografia ufficiale del Tesoro americano sui flussi finanziari internazionali, che a ottobre 2025 mostra un arretramento delle posizioni in Treasury di alcuni grandi Paesi emergenti.

È la classica partita giocata su due tavoli: simboli (che fanno rumore) e portafogli (che muovono davvero gli equilibri). Ma i due piani non coincidono automaticamente. E confonderli porta fuori strada.

Che cos’è davvero “Unit” e perché non è (ancora) un euro dei Brics

La “Unit” viene presentata online come una valuta digitale per il regolamento commerciale tra Paesi BRICS/BRICS+, con una formula ricorrente: 40% oro e 60% paniere di valute dei membri storici (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica). In più, la promessa tecnologica: registro distribuito per sicurezza e tracciabilità.

Qui la distinzione è cruciale: diversi commentatori finanziari hanno definito la notizia come rumor o pilot non ufficiale più che come “moneta comune” già adottata da governi e banche centrali. Un’analisi pubblicata l’11 dicembre 2025 da Fisher Investments parla esplicitamente di “voci” su un test-lancio e invita a non scambiare un’unità di conto sperimentale per un attacco imminente al dollaro.

In altre parole: anche se la “Unit” dovesse trovare un uso limitato nei regolamenti tra controparti selezionate, non è una moneta unica. È, semmai, un tentativo di creare un ponte di pagamento tra Paesi che vogliono commerciare riducendo attriti, costi e – soprattutto – vulnerabilità geopolitiche.

Pagamenti: la vera trincea è l’infrastruttura, non lo slogan

Quando si parla di “sganciarsi dal dollaro”, il bersaglio non è solo la valuta in sé: è l’ecosistema che rende il dollaro comodo, liquido e universale. Qui entra in scena il tema dei canali di pagamento alternativi e dell’interoperabilità.

Nel documento finale del vertice Brics di Rio de Janeiro (6-7 luglio 2025), i leader incaricano ministri delle finanze e governatori di banca centrale di proseguire la discussione sulla BRICS Cross-Border Payments Initiative, citando anche i progressi della task force sui pagamenti e un rapporto tecnico sui pagamenti transfrontalieri (dichiarazione pubblicata il 6 luglio 2025).

Questo punto, se letto senza effetti speciali, dice una cosa semplice: non c’è ancora un “sistema BRICS” unico e operativo. Ci sono pezzi (come alternative nazionali o regionali) e c’è la volontà di cucirli insieme. Ed è esattamente qui che si misura la distanza tra ambizione politica e realtà dei mercati.

Anche le iniziative che circolano sotto l’etichetta “BRICS Pay” vengono descritte dagli stessi promotori come un canale parallelo, non come un rimpiazzo totale di SWIFT o dei circuiti globali. Il succo: costruire una corsia in più, non demolire l’autostrada.

Oro in cassaforte: perché le banche centrali stanno cambiando mix

Se “Unit” fa rumore, l’oro è il sottofondo costante. E qui i numeri – finalmente – sono nitidi.

Il World Gold Council, nel suo aggiornamento sul mercato cinese pubblicato il 12 dicembre 2025, riporta che la banca centrale cinese ha aggiunto 0,9 tonnellate di oro a novembre, portando le riserve ufficiali a 2.305 tonnellate. Nello stesso aggiornamento, la quota dell’oro nelle riserve valutarie cinesi viene indicata in crescita fino a circa 8,3% a novembre 2025.

Sul fronte indiano, una nota Reuters del 17 ottobre 2025 racconta un passaggio simbolico: le riserve auree della banca centrale hanno superato per la prima volta il valore di 100 miliardi di dollari, con l’oro che arriva a circa 14,7% del totale delle riserve valutarie (ai massimi da decenni), anche grazie all’impennata dei prezzi.

Tradotto: anche senza “moneta BRICS”, molti Paesi stanno diversificando. L’oro non sostituisce il dollaro, ma riduce il rischio politico percepito e attenua la dipendenza da asset “bloccabili” in caso di sanzioni o frizioni diplomatiche.

Il colpo più concreto: i BRICS (e non solo) vendono Treasury

Il 18 dicembre 2025 il Dipartimento del Tesoro Usa ha pubblicato i dati TIC relativi a ottobre 2025. Il comunicato ufficiale avverte anche dei limiti statistici (custodia in Paesi terzi, attribuzioni non perfette), ma la direzione di marcia di alcuni flussi è stata subito letta dai mercati.

ING, in un’analisi del 18 dicembre 2025, osserva che le disponibilità in Treasury dei Paesi BRICS hanno continuato a scendere. Nello specifico, nel mese di ottobre, vengono citate variazioni negative per Cina (-11,8 miliardi di dollari), India (-12 miliardi) e Brasile (-5 miliardi). ING collega la dinamica indiana anche a interventi sul cambio a sostegno della rupia e lascia sullo sfondo fattori geopolitici.

Il punto chiave è il “contesto”: una riduzione di esposizione non equivale a un esodo dal dollaro. È spesso gestione del rischio, gestione del cambio, ribilanciamento, talvolta semplice tattica di portafoglio.

Perché il dollaro non cade domani: liquidità, profondità e fiducia

Qui conviene togliere la scena agli slogan e darla ai fondamentali. La forza del dollaro non è solo politica: è microstruttura di mercato. Il dollaro è la valuta con la maggiore profondità, con la più ampia gamma di strumenti liquidi, con la rete più densa di operatori e coperture.

J.P. Morgan Research, in un approfondimento pubblicato il 1 luglio 2025 sul tema “de-dollarization”, sintetizza bene l’asimmetria: anche se la quota Usa in export e output globali è scesa, la dominanza transazionale del dollaro resta evidente in aree come il mercato dei cambi (FX).

E una voce interna ai BRICS ha espresso lo stesso concetto, con meno diplomazia: Reuters ha riportato il 19 maggio 2025 le parole di Nilton David, direttore della banca centrale brasiliana, secondo cui non esiste (oggi) un “mucchio” di asset denominati in valute BRICS abbastanza grande da competere col dollaro nel prossimo decennio. Strumenti di settlement possono aiutare il commercio bilaterale, ma non ribaltano la gerarchia monetaria a colpi di comunicati.

La crepa che si allarga: l’internazionalizzazione “pratica” dello yuan

Se c’è un fronte dove la de-dollarizzazione si vede senza bisogno di proclami, è quello dell’uso crescente di valute alternative nei finanziamenti e nei prestiti.

Reuters, il 19 dicembre 2025, ha descritto un boom di emissioni e prestiti in yuan che sta alimentando l’idea del renminbi come valuta di funding. Il fenomeno viene spiegato in modo molto “terra terra”: tassi cinesi più bassi e pricing più conveniente rispetto agli Stati Uniti. Non è rivoluzione ideologica: è convenienza.

È anche un promemoria: la mappa valutaria globale cambia spesso per motivi tecnici (costo del capitale, coperture, stabilità), e solo dopo diventa racconto geopolitico.

Più multipolare sì, ma per stratificazione

Messa in fila, la storia è meno “apocalittica” e più interessante: vendite di Treasury (con motivazioni miste), oro in crescita nei bilanci delle banche centrali, progetti di pagamento ancora in costruzione, e – sullo sfondo – un possibile strumento digitale come “Unit” che oggi somiglia più a un test e a un simbolo che a una moneta di massa.

Il risultato probabile non è un mondo “senza dollaro”, ma un mondo più multipolare, dove alcune tratte commerciali e finanziarie cercano corsie alternative. Non uno strappo netto: una lenta stratificazione, pezzo dopo pezzo. 

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