Carrelli con il freno a mano, listini con l’acceleratore: cosa sta davvero succedendo tra prezzi, tassi e fiducia in vista del 2026.
A fine 2025 l’economia europea somiglia a una fotografia scattata con due obiettivi diversi: in primo piano
le famiglie che contano le spese, sullo sfondo gli investitori che alzano la posta.
È un paradosso solo apparente: consumi e mercati stanno reagendo a tempi differenti della stessa storia,
fatta di inflazione che rientra, tassi che scendono (con prudenza) e un’incertezza geopolitica che non concede tregua.
Fiducia: piccolo rimbalzo, grandi dubbi
Il segnale più “visibile” arriva dai sondaggi: in Italia, a dicembre, l’indice di fiducia dei consumatori torna a salire
e si porta a 96,6 da 95,0 del mese precedente. È un recupero che parla soprattutto di
percezione personale, non di entusiasmo collettivo: la sensazione è quella di un miglioramento “qui e ora”, mentre
sulle prospettive generali resta un velo di cautela.
Anche tra le imprese il clima migliora, con un indice composito che avanza a 96,5. Tradotto:
non è boom, ma è un passo avanti. E in un anno in cui molti hanno imparato a convivere con scosse improvvise,
anche un passo conta.
Inflazione in frenata, ma il portafoglio se ne accorge ancora
Il 2025 ha confermato la traiettoria di raffreddamento dei prezzi, ma con una postilla: la discesa statistica non sempre
coincide con un sollievo percepito. L’ISTAT, per novembre, fotografa un’inflazione annua moderata
(con l’IPCA che rallenta e un’“inflazione acquisita” per il 2025 indicata attorno a +1,5% sull’indice generale).
Eppure alcune voci restano “rumorose”: energia, alimentari, servizi.
Effetto pratico: la spesa si riorganizza. Tengono gli essenziali, si ragiona di più sul discrezionale. Il tempo libero non sparisce,
ma diventa selettivo: meno impulsi, più confronti, più promozioni, più “aspettiamo dopo le feste”.
La grande tregua dei tassi (con l’occhio al ritorno dell’inflazione)
Se le famiglie restano guardinghe, è anche perché la trasmissione delle scelte di politica monetaria non è immediata.
Ma il cambio di scenario è reale: nel 2025 la Banca centrale europea ha tagliato i tassi più volte e, in una delle decisioni chiave
(giugno), ha ridotto di 25 punti base i tre tassi di riferimento, portando il tasso sui depositi al 2,00%.
La motivazione ufficiale ruota intorno a tre parole che contano: inflazione, inflazione di fondo,
trasmissione.
La linea resta “guidata dai dati”. In altre parole: sì ai tagli, ma senza dichiarare vittoria troppo presto.
In un contesto in cui salari, profitti e prezzi dei servizi possono riaccendere pressioni, la banca centrale evita
promesse scolpite nella pietra.
Credito: segnali di riapertura, ma la domanda è timida
La prima cartina di tornasole dei tassi più leggeri è il credito. E qui arrivano indicazioni incoraggianti:
nell’Eurozona, secondo la Bank lending survey, le banche si aspettano un aumento della domanda
di prestiti per la casa e un piccolo incremento del credito al consumo verso la fine del 2025.
In Italia i numeri sui mutui mostrano un raffreddamento dei costi rispetto ai picchi, anche se non si torna ai “tempi felici”
del denaro quasi gratis. La Banca d’Italia, ad esempio, ha rilevato a settembre un APRC sui nuovi mutui attorno al 3,71%,
mentre altre rilevazioni di mercato segnalano una discesa nell’autunno verso livelli poco sopra il 3%.
La direzione è chiara: il credito smette di stringere, ma non diventa improvvisamente facile.
Risparmio alto: non è solo prudenza, è una strategia
C’è poi un indicatore che racconta lo “stato d’animo” meglio di molte dichiarazioni: la propensione al risparmio.
Nei conti trimestrali, l’ISTAT la stima al 9,5% nel secondo trimestre 2025 (in aumento).
Significa che una parte di reddito viene messa da parte, come cuscinetto. Non per avarizia, ma per gestione del rischio:
bollette, rate, spese impreviste, e la memoria recente di anni turbolenti.
Mercati: rally di fine anno e volatilità bassa, ma con qualche zona d’ombra
Mentre i carrelli restano prudenti, i listini hanno chiuso un 2025 tonico. A fine dicembre, molte piazze azionarie risultano
su livelli elevati e la “paura” misurata dalla volatilità appare compressa: negli Stati Uniti il VIX scende sui minimi recenti,
segnale di fiducia (o compiacenza). Reuters descrive un anno “robusto” per le azioni globali, con forti rialzi in Asia
e un clima costruttivo in vista del 2026.
Attenzione però al rovescio della medaglia: volatilità bassa non significa rischi assenti. Significa che il mercato, oggi,
li prezza poco. E i rischi in elenco non sono esotici: geopolitica, energia, nuove barriere commerciali, crescita europea fragile,
e il nodo del rientro dell’inflazione se l’economia accelera.
Italia ed Eurozona: crescita moderata e appoggiata ai consumi
Sullo sfondo c’è la macro: l’Italia viaggia su ritmi contenuti. Nelle prospettive 2025-2026, l’ISTAT prevede per il 2025
una crescita del Pil attorno a +0,5% e un miglioramento nel 2026 (circa +0,8%),
con una spinta che arriva soprattutto dalla domanda interna.
Traduzione operativa: se i consumi ripartono davvero, aiutano tutto. Se restano prudenti, l’economia continua “senza strappi”.
È il classico equilibrio fragile: basta poco per spostare l’ago della bilancia.
Scenari 2026: “atterraggio morbido” o prudenza permanente?
I mercati scommettono su un 2026 da atterraggio morbido: crescita non esplosiva, inflazione sotto controllo,
tassi gradualmente più leggeri. Le famiglie, invece, chiedono prove: salari reali in aumento, prezzi davvero più stabili,
lavoro solido, rate sostenibili.
Il punto chiave sarà il potere d’acquisto. Se l’inflazione resta domata e il reddito reale continua a recuperare,
la prudenza può trasformarsi in spesa. Se invece tornano scosse sui prezzi o sul lavoro, il risparmio resterà il re silenzioso
anche nel 2026.