Unimpresa: "In aumento gli italiani a rischio povertà, sono 8,2 milioni"

- di: Barbara Bizzarri
 
Un rapporto del Centro Studi di Unimpresa rileva che l’area di disagio sociale è cresciuta nonostante la ripresa economica registrata nel 2022 che, nei fatti, non ha migliorato la condizione economica degli italiani: le persone a rischio povertà sono 8,2 milioni, in aumento di circa 10mila unità rispetto all’anno precedente. Si tratta di una variazione dello 0,12% di lavoratori sottopagati (working poor) o precari e di soggetti disoccupati, con i primi arrivati a 6,5 milioni, in crescita di 12 mila unità, e i secondi attestati a 1,9 milioni, in diminuzione di circa 2mila unità. La crescita più rilevante, nell’ambito dei “working poor” è fra i lavoratori con contratto a tempo indeterminato, part time involontario, un espediente contrattuale che spesso nasconde una fetta della retribuzione in nero: “La vera sfida del governo sta nell’arrivare a fine anno con questo numero, quello dell’area di disagio sociale, più contenuto rispetto all’attuale 8,2 milioni: ci accontenteremo di una riduzione lieve, ma che darebbe comunque l’idea di una traiettoria nuova, di un cambio di passo verso un orizzonte diverso. È un obiettivo ambizioso, ma a nostro avviso raggiungibile. Si tratta di creare le condizioni affinché le imprese possano crescere, investire e creare nuova occupazione. La ricetta è semplice: meno burocrazia e meno tasse, con una quota consistente di incentivi per chi crea nuova, stabile occupazione”, commenta il presidente onorario di Unimpresa, Paolo Longobardi.

Unimpresa: "In aumento gli italiani a rischio povertà, sono 8,2 milioni"

Secondo il rapporto, basato sull’elaborazione di dati Istat, l’area di disagio sociale comprendeva, a fine 2022, 8,2 milioni di persone, in aumento di 10mila unità rispetto all’anno precedente (+0,12%). L’area di disagio sociale è la somma dei disoccupati e di alcune categorie di occupati precari o “sottopagati”, definiti anche “working poor”. I disoccupati, tra il 2021 e il 2022, sono rimasti sostanzialmente stabili: sono passati da 1 milione e 983mila a 1 milione e 981mila, in diminuzione di circa 2mila unità (-01,11%). Tra i disoccupati, gli ex occupati sono passati da 1 milione e 20mila a 1milione e 19 mila, in calo di circa 700mila unità (-0,07%); gli ex inattivi sono arrivati a quota 208mila in aumento di circa 3 mila unità (+0,12%); coloro che sono senza esperienza di lavoro, infine, sono calati di circa mille unità (-1,67%), passando da 60mila a 59mila. Quanto ai “working poor” (precari e sottopagati), questa categoria è passata da 6 milioni e 577mila soggetti a 6 milioni e 589mila soggetti, con una crescita di 12mila unità (+0,18%). Tra gli occupati instabili o a basso reddito, i lavoratori con contratto a termine part time sono passati da 878mila a 880mila, in aumento di 2mila unità (+0,23%); gli addetti con contratto a termine e a tempo pieno, poi, sono aumentati di 21mila (+0,97%) da 2 milioni e 168mila a 2 milioni e 189mila; i lavoratori con contratto a tempo indeterminato part time involontario rappresentano la fascia maggiormente cresciuta, con un aumento di 57mila unità (+2,23%) da 2 milioni e 551mila a 2 milioni e 607mila; i lavoratori con contratti di collaborazione sono aumentati di circa mille unità (+0,26%) da 226mila a 227mila; gli autonomi part time, infine, sono calati di 69mila unità (-9,15%) da 754mila a 685mila. 

“Quello dei poveri è un vero e proprio dramma e chi, come me, ogni giorno trascorre del tempo tra le persone, nei negozi e nei mercati si rende conto delle difficoltà delle persone - aggiunge il presidente onorario di Unimpresa -. Chi ha impresa e dà lavoro crea dignità, ed è proprio questo aspetto che sta venendo a mancare. La perdita di lavoro o una retribuzione da fame rappresentano un elemento di vergogna per molti, in tanti hanno timore di chiedere un aiuto economico. Dobbiamo combattere proprio questo e il governo, se davvero vuole mantenere le promesse fatte nel corso della campagna elettorale, deve creare le condizioni per far lavorare al meglio le imprese. Noi non crediamo nei sussidi a tempo indeterminato e siamo convinti che i posti di lavoro possano nascere solo dalle imprese, adeguatamente sostenute in termini normativi e in termini fiscali”.

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