Ue: ripensare ai vincoli di bilancio per ridare slancio all'Europa

- di: Diego Minuti
 
Hanno ancora un senso, che non sia strettamente economico, i vincoli di bilancio che sono stati introdotti nel 1992, con il Trattato di Maastricht, per i Paesi dell'Unione europea?
O meglio, formulando la domanda in modo diverso, questa Europa, segnata da una profondissima crisi economica derivata da quella sanitaria, è ancora in grado di piegarsi a parametri che sono vecchi di trent'anni e che sono stati concepiti, elaborati e redatti alla luce di una situazione che oggi è profondamente alterata rispetto a quella del 1992?
E' un dibattito che, in Europa, va avanti ormai da qualche tempo, conseguenza del mutare delle condizioni economiche che oggi sembrano necessitare di atti di coraggio e non solo di rigore.
Un'Europa in cui lo scostamento dagli standard pretesi da ogni Paese al 2022 per la pandemia appare solo come un atto dovuto - e non invece frutto di una nuova visione - in un quadro generale che però consente a Nazioni di recente arruolamento nell'Unione di fare la voce grossa, a dispetto del tanto che hanno avuto.

Un'Unione che dovrebbe finalmente guardare al di là di un patto vincolante che, mai come oggi, viene visto come un cappio che, a piacimento di pochi, può strozzare interi popoli. Come la storia della Grecia dovrebbe pure avere insegnato.
Il primo a fare veramente la voce grossa è stato il presidente francese Emmanuel Macron che, alla fine del 2019, disse che quello che si stava portando avanti era "un dibattito di un altro secolo", non certo per sottolinearne la compassata liturgia, quanto per il fatto che i vincoli di bilanci europei - quando ancora nessuno, se non gli amanti delle teorie complottiste, poteva anche solo immaginare che sul mondo stava per abbattersi la pandemia in tutta la sua virulenza - apparivano già come il gravame di una ''storia'' antica.
Macron non si limitò a puntare il dito contro la rigidità dei vincoli europei - i famosi massimali di debito e disavanzo pubblico, fissati rispettivamente al 60% e al 3% del prodotto interno lordo -, quanto auspicò che la cittadella dell'Unione si piegasse ad una semplice presa d'atto sulla necessità di avere coraggio.

"Serve più espansionismo, più investimenti", disse Macron all'Economist, appena settimane prima che la pandemia Covid-19 colpisse l'Europa, di cui il presidente francese ha poi sottolineato "la straordinaria fragilità" .
Ma avviare una riflessione sui vincoli di bilancio non è solo una scelta di politica economica, ma di politica punto e basta, dal momento che questi argomenti sono - da angolazioni diverse - cavalli di battaglia delle ali estreme dello schieramento, destra e sinistra. Ma ora è forse il momento di interrogarsi se è ancora valido il ragionamento in base al quale, in vista dell'adozione della moneta unica, furono decisi vincoli e relative percentuali che avevano l'obiettivo di formare un terreno comune, in termini di bilancio, per economie dei singoli Stati nettamente diverse.
Questi standard di bilancio, imposti e pretesi da Bruxelles con l'obiettivo di rendere forte l'economia dell'Unione, costringendo quelle dei singoli Paesi a non deragliare, dapprima sopportati non potendovisi ribellare ora vengono visti come il corollario di un modello diventato inattuale, dogmatico e certo distante dalla realtà che gli Stati vivono.
Macron, che è già da tempo in campagna elettorale (in Francia si torna a votare nel 2022), probabilmente dei vincoli comunitari farà una battaglia, anche perché Parigi presiederà l'Unione nel primo semestre del prossimo anno.

Quale migliore occasione per parlarne?
A definire l'aria che tira a Parigi basta leggere la nota che il Conseil d'Analyse Economique, think tank molto considerato dal governo francese, ha pubblicato in queste ore suggerendo di abbandonare l'obiettivo comune del deficit del 3% e di sostituire la soglia del 60% di debito con un tetto diverso per ogni Paese.
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