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Ue-Usa, accordo appeso a Trump: dazi al 15% o guerra commerciale

- di: Vittorio Massi
 
Ue-Usa, accordo appeso a Trump: dazi al 15% o guerra commerciale
Intesa pronta ma manca la firma di Washington. Bruxelles unisce le contromisure, Parigi spinge per il “bazooka” anti-coercizione. L’Europa si prepara al peggio

Il 15% è sul tavolo, ma la firma di Trump ancora no

L’accordo tra Unione Europea e Stati Uniti per evitare una nuova guerra commerciale è stato scritto, limato e condiviso tra le capitali europee. Eppure resta appeso a un’incognita: Donald Trump. Il piano prevede una tariffa unificata al 15% su beni transatlantici, con ampie esenzioni settoriali da definire. Un compromesso che Bruxelles – pur con molti dubbi – è pronta a digerire. Ma “la decisione finale spetta a Trump”, spiegano fonti diplomatiche europee.

La proposta, ispirata all’accordo siglato tra Stati Uniti e Giappone, ridurrebbe significativamente l’attuale livello di dazi, come nel settore auto, dove oggi l’Ue subisce una tariffa del 27,5%. In cambio, l’Europa riconoscerebbe alcuni standard tecnici americani, un gesto politicamente sensibile. L’obiettivo, ha spiegato un funzionario della Commissione, è “garantire reciprocità senza compromettere la sovranità normativa europea”.

Le esenzioni promesse e l’ombra dell’acciaio

A rischiare di saltare, però, sono proprio le esenzioni: tra i settori potenzialmente salvati ci sarebbero l’aeronautica, i prodotti agricoli, gli alcolici, i dispositivi medici e il legname. Ma sull’acciaio – dove l’attuale tariffa americana tocca il 50% – Trump non cede. E la Casa Bianca ha ribadito che “l’industria americana dell’acciaio è strategica”.

Von der Leyen forza la mano: un’unica lista di controdazi da 93 miliardi

Di fronte all’incertezza, Bruxelles cambia tono. La Commissione europea ha unificato le due liste di contromisure: quella da 21 miliardi già pronta in risposta ai dazi su acciaio e alluminio, e quella da 72 miliardi messa a punto dopo il cosiddetto “Liberation Day”, quando Trump annunciò nuovi balzelli su beni europei a partire dal 1° agosto.

Il Comitato per le barriere commerciali approverà la lista integrata nelle prossime ore. Entrerà in vigore solo il 7 agosto, ma ha già un impatto politico immediato. “È il nostro segnale chiaro che non ci faremo intimidire”, ha dichiarato una fonte interna al Berlaymont.

Parigi spinge per il “bazooka”, Berlino tentenna

Il vero punto di svolta, tuttavia, è l’attivazione dello Strumento anti-coercizione, il cosiddetto “bazooka” Ue: un pacchetto normativo approvato nel 2023 che permette all’Unione di rispondere a pressioni economiche con misure drastiche, inclusa la revoca di diritti di proprietà intellettuale.

Durante il Coreper II del 23 luglio, la Francia ha invocato l’uso immediato dello strumento, trovando sponde in Spagna, Polonia e Grecia. L’Italia, pur meno entusiasta, non si è opposta. Secondo fonti raccolte, il consenso politico necessario – una maggioranza qualificata tra i 27 – è ormai emerso. Se Trump dirà no, scatterà il bazooka.

Verso la guerra commerciale: scenari sempre più concreti

Nel caso in cui l’accordo venisse respinto dalla Casa Bianca, le tariffe reciproche salirebbero automaticamente al 30%, secondo stime interne della DG Trade. E da lì, si entrerebbe in una spirale pericolosa. L’Ue potrebbe reagire con barriere su investimenti americani, limitazioni ai servizi digitali e blocchi agli appalti pubblici.

A quel punto, la guerra commerciale non sarebbe più un’ipotesi, ma un dato di fatto. Un funzionario del Consiglio Ue ha ammesso che “sarebbe il peggior scenario dalla crisi Airbus-Boeing”.

Le Big Tech sotto tiro, e gli Usa accusano di censura

La tensione non riguarda solo i dazi. Le multinazionali digitali americane – da Google a Meta – restano nel mirino della Commissione, che insiste sul rispetto del Digital Services Act e del Digital Markets Act. Washington ha replicato con durezza: in un post ufficiale, le regole europee sono state bollate come “una forma orwelliana di censura”.

L’Ue, dal canto suo, rivendica la legittimità delle sue norme come “baluardo di democrazia digitale”. Ma anche su questo fronte, lo scontro è politico prima ancora che commerciale.

Tokyo sì, Pechino forse: il doppio asse europeo

Mentre l’intesa con Washington resta in bilico, Ursula von der Leyen si muove altrove. A margine del trilaterale con Antonio Costa e Kaja Kallas, ha rilanciato con il Giappone l’“Alleanza per la competitività”, siglata a Tokyo il 22 luglio. Obiettivo: spingere insieme per una riforma del WTO, con un fronte multilaterale alternativo al protezionismo trumpiano.

Ma la tappa più delicata resta la Cina. A Pechino, dove von der Leyen e Costa sono attesi in settimana, si discuterà del nuovo equilibrio commerciale globale e di possibili aperture sugli investimenti. Xi Jinping ha ribadito che “la Cina non vuole guerre commerciali ma non si farà intimidire”.

L’Europa deve decidere chi vuole essere

Mai come ora l’Europa si trova costretta a scegliere: cedere al ricatto tariffario di Trump o alzare la voce, a costo di un conflitto. La bozza d’accordo è un compromesso fragile, accettabile forse sul piano tecnico, ma politicamente umiliante. Soprattutto per chi, come von der Leyen, ha fatto della “sovranità europea” la bandiera del proprio mandato.

Il tempo stringe. La firma di Trump potrebbe arrivare – o non arrivare – entro il fine settimana. In entrambi i casi, sarà una prova decisiva per la credibilità dell’Unione Europea e della sua capacità di farsi rispettare.

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