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Ue, stipendi in aumento: la media europea sale a 39.800 euro

- di: Cristina Volpe Rinonapoli
 
Ue, stipendi in aumento: la media europea sale a 39.800 euro

Nel 2024 lo stipendio medio annuo a tempo pieno nell’Unione europea ha raggiunto i 39.800 euro, segnando un incremento del 5,2% rispetto ai 37.800 euro registrati l’anno precedente. I dati, diffusi oggi a Bruxelles, offrono una fotografia di un’Europa in cui la crescita salariale è tornata a rafforzarsi dopo due anni di inflazione elevata, ma anche di un continente ancora profondamente diviso sul piano delle retribuzioni.

Ue, stipendi in aumento: la media europea sale a 39.800 euro

I Paesi del Nord continuano a detenere la leadership dei redditi medi. Il Lussemburgo si conferma in testa con 83.000 euro annui, seguito da Danimarca (71.600 euro) e Irlanda (61.100 euro). Si tratta di economie caratterizzate da alti livelli di produttività, una forte specializzazione nei servizi ad alto valore aggiunto e mercati del lavoro molto dinamici, dove la contrattazione collettiva è in grado di intercettare tempestivamente la crescita dei prezzi.

Anche le grandi economie dell’area euro registrano livelli retributivi solidi: la Germania si attesta su una media di 53.791 euro, mentre la Francia raggiunge 43.790 euro, beneficiando del rallentamento dell’inflazione e del rafforzamento dei salari reali nel corso dell’anno.

L’Italia sotto la media europea, ma in lieve ripresa

Con 33.523 euro, l’Italia rimane sotto la media Ue e appena dietro la Spagna, che nel 2024 ha registrato un reddito medio di 33.700 euro. Il dato nazionale mostra comunque un piccolo progresso rispetto ai 32.650 euro del 2023, segno che l’erosione del potere d’acquisto subita nel biennio inflazionistico 2022-2023 sta iniziando a essere recuperata, almeno in parte.

Il differenziale rispetto ai partner europei più forti resta tuttavia ampio. Il salario medio italiano rappresenta circa l’85% della media Ue e meno del 60% rispetto alla Germania. Un gap che riflette, oltre alle differenze di produttività, anche la frammentazione del tessuto produttivo e la concentrazione di lavoro a basso valore aggiunto nei settori tradizionali.

Est e Sud Europa ancora indietro
Sul fronte opposto, i redditi più bassi si registrano in Bulgaria (15.400 euro), Grecia (18.000 euro) e Ungheria (18.500 euro). Paesi in cui la crescita dei salari nominali non è riuscita a compensare pienamente l’aumento dei prezzi, mantenendo elevato il divario con il resto del continente. Nonostante ciò, in molte economie dell’Est Europa i tassi di crescita percentuali restano tra i più alti, segno di una convergenza ancora in corso, sostenuta dall’espansione industriale e dagli investimenti esteri.

Produttività e contrattazione, i nodi italiani

Nel caso italiano, la dinamica salariale è frenata da due fattori strutturali: la bassa produttività del lavoro e la lentezza dei rinnovi contrattuali. Il potere d’acquisto reale, pur in recupero, resta inferiore ai livelli pre-pandemia. A questo si aggiunge un tessuto economico dominato da piccole e medie imprese, meno in grado di riconoscere aumenti consistenti rispetto alle grandi aziende europee.

Le tensioni contrattuali di questi mesi – dal pubblico impiego al commercio, fino al settore metalmeccanico – riflettono la necessità di riallineare i salari a un costo della vita ancora elevato. Le dinamiche di crescita restano comunque contenute, anche per l’effetto di una produttività stagnante da oltre vent’anni e di un tasso di partecipazione al lavoro femminile ancora inferiore alla media europea.

Il confronto con la Spagna e la sfida della competitività
Il confronto con la Spagna, che ha superato l’Italia di poche centinaia di euro, è emblematico. Negli ultimi anni Madrid ha sostenuto una politica di aumenti graduali del salario minimo e una più intensa contrattazione collettiva di secondo livello. Ciò ha consentito di recuperare potere d’acquisto e ridurre le disuguaglianze salariali, in un contesto di crescita economica più vivace.

Per l’Italia, la sfida è duplice: da un lato, stimolare la crescita della produttività attraverso innovazione e formazione; dall’altro, rendere più efficiente il sistema di contrattazione, favorendo la diffusione dei premi legati ai risultati e la partecipazione dei lavoratori ai benefici dell’impresa.

Verso una nuova stagione di salari reali

A livello europeo, il 2025 potrebbe segnare l’inizio di una nuova fase per i salari reali. Il rallentamento dell’inflazione e la stabilizzazione dei tassi d’interesse dovrebbero restituire margini alle famiglie e sostenere i consumi. Tuttavia, gli analisti avvertono che la ripresa del potere d’acquisto rischia di restare disomogenea: nei Paesi con una produttività più bassa e sistemi contrattuali frammentati, come l’Italia, la crescita delle retribuzioni effettive continuerà a dipendere più dalla politica economica e fiscale che dalle dinamiche di mercato.

Il dato diffuso da Bruxelles conferma dunque la posizione intermedia dell’Italia nel panorama europeo: un Paese che mostra segnali di recupero ma che non ha ancora colmato il divario strutturale con le economie più avanzate del Nord.

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