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Ue contro l’Italia: infrazione sulla golden share del caso UniCredit

- di: Matteo Borrelli
 
Ue contro l’Italia: infrazione sulla golden share del caso UniCredit

Bruxelles apre la procedura d’infrazione e mette nel mirino i poteri speciali usati da Roma sull’operazione UniCredit. Ora il governo deve riscrivere le regole per evitare un duello frontale con la Commissione.

(Foto: riunione della Commissione europea).

La Commissione europea ha deciso di rompere gli indugi: contro l’Italia scatta una procedura d’infrazione per l’uso esteso della golden share nel settore bancario, un intervento che Bruxelles considera eccessivo e potenzialmente in conflitto con le regole del mercato unico. A far traboccare il vaso, secondo fonti europee, è stato soprattutto il precedente legato all’operazione UniCredit, dove Roma ha esercitato i poteri speciali imponendo paletti che hanno inciso direttamente sulla fattibilità dell’operazione.

L’atto con cui è stata avviata la procedura – la lettera di costituzione in mora – segna il punto di non ritorno di un confronto rimasto per mesi sotterraneo. Ora la questione diventa politica e giuridica allo stesso tempo: non riguarda solo l’Italia, ma l’intero equilibrio tra sovranità nazionale e regole comuni europee nel mondo bancario.

Che cosa contesta Bruxelles

Secondo la Commissione, l’Italia ha applicato la golden share oltre i limiti consentiti, estendendone il perimetro a operazioni bancarie non riconducibili a minacce alla sicurezza nazionale in senso stretto. Questo, per Bruxelles, rischia di ostacolare la libera circolazione dei capitali e di creare interferenze con le competenze della Banca centrale europea nel quadro del Meccanismo di vigilanza unico.

Il dossier bancario è particolarmente sensibile: la Ue punta da anni al consolidamento transfrontaliero, indispensabile per creare gruppi capaci di competere a livello globale. Qualsiasi strumento che possa frenare fusioni o acquisizioni è visto come un ostacolo strategico.

Il precedente UniCredit pesa come un macigno

Pur non essendo formalmente alla base della procedura, il caso UniCredit è stato un detonatore politico. In quella vicenda, il governo italiano aveva imposto una serie di condizioni stringenti sull’ipotesi di operazione, tra cui indicazioni operative riguardanti la presenza internazionale dell’istituto. Il risultato era stato il ritiro dell’offerta, con ripercussioni immediate sui mercati e un dibattito intenso sugli equilibri tra vigilanza europea e prerogative nazionali.

A Bruxelles, quel caso ha alimentato la percezione che la golden share venga usata come un freno discrezionale più che come uno strumento per prevenire rischi reali. Per questo la Commissione ha scelto un intervento netto: chiarire che i poteri speciali devono essere proporzionati, limitati e giustificati.

La risposta di Roma: “Riforma urgente, zero scontro”

Il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti ha confermato che il governo lavorerà a una revisione della normativa. In pubblico ha sintetizzato la posizione italiana in modo inequivocabile: “Con spirito costruttivo e collaborativo faremo una proposta normativa che farà chiarezza e supererà le obiezioni, garantendo un quadro di competenze condiviso”.

La correzione, spiegano fonti vicine al dossier, arriverà con un decreto-legge o tramite un emendamento alla legge di bilancio. Il tempo stringe: la Ue ha dato due mesi per rispondere e dimostrare che l’impianto normativo è stato adeguato alle osservazioni.

L’Italia mira a non rinunciare allo strumento, ma punta a ridefinirlo: criteri più chiari, ambiti più circoscritti, coordinamento più esplicito con le autorità europee. In sostanza, un golden power “ristrutturato”, ma ancora operativo.

Perché la questione è esplosiva

La disputa non è tecnica, ma politica. L’Italia afferma che la golden share è indispensabile per proteggere asset bancari strategici, fondamentali per la stabilità economica del Paese. Bruxelles, invece, teme che lo strumento possa trasformarsi in un modo per controllare operazioni di mercato secondo logiche nazionali, minando l’architettura europea della vigilanza.

La Commissione vuole evitare un “effetto domino”: se l’Italia mantiene un potere d’intervento esteso, altri Stati potrebbero seguirla, creando una frammentazione in grado di indebolire l’intero sistema bancario europeo.

Le conseguenze possibili: da una riforma rapida alla Corte di giustizia

Se la risposta italiana non convincerà, Bruxelles potrà procedere con un parere motivato e, in ultima istanza, portare il caso davanti alla Corte di giustizia dell’Unione europea. In quel caso, oltre al danno d’immagine, l’Italia rischierebbe sanzioni economiche.

Lo scenario più probabile, però, resta un compromesso politico: una revisione normativa che rassicuri la Commissione e lasci comunque allo Stato un margine residuo di intervento sugli asset considerati vitali.

Un messaggio per tutta l’Unione

Il caso italiano diventa ora un precedente per gli altri Paesi che negli ultimi anni hanno ampliato i poteri speciali nazionali. Il modo in cui si chiuderà questa vicenda contribuirà a ridisegnare il confine tra interventismo statale e integrazione finanziaria europea.

L’Italia è chiamata a una scelta cruciale: mantenere una golden share ampia e rischiare un lungo contenzioso, oppure accettare una riforma che riduca la discrezionalità nazionale in nome di un’Europa bancaria più integrata.

La partita è aperta e il risultato andrà ben oltre il caso UniCredit.

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