Ad Anchorage sorrisi e spettacolo, ma nessuna tregua. Il leader russo incassa legittimazione internazionale. Trump torna a Washington senza vittoria da sbandierare. Kiev e gli alleati restano in attesa, tra rabbia e timori.
(Foto: Putin e Trump, foto ricordo del vertice in Alaska sulla guerra in Ucraina).
Una passerella che non porta alla pace
Il vertice di Anchorage del 15 agosto 2025, atteso come il banco di prova della nuova presidenza Trump, si è concluso con una stretta di mano, un pranzo rimasto intatto nei piatti e zero progressi concreti. L’incontro tra il presidente americano e Vladimir Putin – durato poco meno di tre ore – non ha prodotto l’obiettivo più atteso: il cessate il fuoco in Ucraina.
Trump aveva promesso che avrebbe chiuso la guerra “entro 24 ore” dal suo ritorno alla Casa Bianca. Invece, a sette mesi dal suo insediamento, il primo faccia a faccia con il leader del Cremlino si è trasformato in un’occasione mancata, lasciando spazio a un senso di sconfitta diplomatica. La coreografia c’era tutta: bandiere, parate, perfino il passaggio in macchina sulla celebre “Beast”, la limousine presidenziale, con Trump al volante e Putin ospite d’onore. Ma dietro lo show si è consumato un nulla di fatto.
Trump ha dovuto ammettere: “non c’è un accordo finché non c’è un accordo”, frase che ha il sapore di un autogol retorico.
Putin ringrazia: legittimazione senza prezzo
Il capo del Cremlino è uscito sorridente: nessuna concessione sostanziale, ma una vittoria simbolica importante. È stato accolto con tutti gli onori militari e diplomatici negli Stati Uniti, nonostante sia ancora formalmente indicato come “criminale di guerra” da diversi organismi internazionali.
Il summit gli ha offerto una ribalta insperata: la sola foto di Putin sul suolo americano rappresenta un successo politico per Mosca, che incassa visibilità e tempo prezioso per proseguire l’offensiva militare.
Non solo: il leader russo ha persino trovato lo spazio per invitare Trump a Mosca, con tono ironico, quasi a voler rimarcare chi detta i tempi e le condizioni.
Trump senza fiato: promesse evaporate
La Casa Bianca aveva annunciato l’incontro come un punto di svolta. “Capirò subito se Putin vuole davvero la pace”, aveva detto Trump alla vigilia. Ma non appena uscito dalla sala riunioni, il presidente ha evitato la conferenza stampa congiunta, limitandosi a poche battute. Un gesto eloquente: se avesse avuto un risultato da sventolare, non avrebbe esitato a monopolizzare i microfoni.
Al contrario, il silenzio è diventato la conferma del fallimento. I due leader avrebbero dovuto discutere fino al tardo pomeriggio, ma il confronto si è chiuso a metà pomeriggio. “Un incontro estremamente produttivo”, ha detto Trump, salvo poi ammettere che il punto cruciale – la tregua – restava irrisolto.
Kiev non applaude
A Kiev la delusione è stata immediata. Fonti del governo ucraino hanno bollato l’incontro come “un fallimento totale”. Volodymyr Zelensky, escluso dalla trattativa, ha ricordato che ogni negoziato senza la presenza ucraina non può avere credibilità.
La sensazione, tra i funzionari di Kiev, è che Putin abbia guadagnato tempo e visibilità, mentre Trump si è fatto trascinare in una messinscena. “È come se il Cremlino avesse ottenuto un lasciapassare, senza pagare nulla in cambio”, ha commentato un consigliere del presidente ucraino.
L’Europa osserva, ma con inquietudine
Gli alleati europei, reduci dalla cessione al diktat americano di alzare la spesa militare fino al 5% del Pil – misura imposta da Trump al vertice Nato in Olanda poche settimane fa – guardano con crescente scetticismo. Bruxelles teme che l’America stia giocando una partita di immagine più che di sostanza, lasciando l’Ucraina in bilico e l’Europa in prima linea.
L’analista tedesco Ulrich Speck ha osservato: “Trump non ha una strategia chiara: si muove tra show e minacce, ma non dà garanzie di affidabilità”. Una frase che riflette il malessere diffuso nel Vecchio Continente, costretto a seguire la linea di Washington senza sapere dove porta.
Un leader debole davanti a un uomo forte
L’impressione diffusa è che Trump, abituato ai trucchi del mercato immobiliare newyorkese, si sia trovato spiazzato davanti alla freddezza dell’ex agente del Kgb. Putin ha mostrato la calma del giocatore che non ha fretta, sapendo che il tempo lavora a suo favore.
È stato un vertice dominato dal cerimoniale, ma vuoto nei contenuti. Un giudizio che fotografa perfettamente la dinamica: Trump voleva un titolo da prima pagina, Putin ha preferito una vittoria silenziosa.
Lo scenario che si apre
Ora la palla torna a Washington. Trump ha promesso di consultarsi con Zelensky e con gli alleati prima di decidere se tornare alla linea dura: nuove sanzioni secondarie contro la Russia e più armi a Kiev. Ma la sua esitazione rischia di essere letta come debolezza.
Per Putin, al contrario, il vertice è stato ossigeno politico: ha mostrato al suo Paese e al mondo di poter sedere da pari a pari con Washington, senza concessioni, e ha ottenuto la ribalta mediatica che cercava.
La guerra in Ucraina continua, le bombe non smettono di cadere, e la diplomazia americana appare più come un teatro che come un’arma reale.
Trump fatica a reggere il gioco
Il summit di Anchorage resterà nella storia più per le immagini che per i risultati: i sorrisi, la passeggiata in limousine, i brindisi mancati. Un palcoscenico perfetto per Putin, un boomerang per Trump.
In Alaska non è arrivata la pace, ma il messaggio che il Cremlino dà le carte e l’America di Trump fatica a reggere il gioco. L’Europa resta spettatrice inquieta, mentre Kiev paga il prezzo più alto: la guerra non è più vicina alla fine.