Una conversazione, nessuna svolta. La telefonata tra Donald Trump e Vladimir Putin, tanto attesa quanto opaca nei contenuti, si è conclusa senza il tanto sperato cessate il fuoco in Ucraina. Ma ciò che ha davvero lasciato attoniti i leader europei non è stato tanto il mancato risultato, quanto il tono della conversazione, definito “di sorprendente deferenza” da fonti vicine alle diplomazie occidentali, secondo quanto riferisce il sito Axios.
Trump, Putin e l’Europa disorientata: la deferenza che congela la guerra
Un atteggiamento che ha scatenato lo sconcerto delle principali cancellerie, sollevando interrogativi sull’effettiva volontà della nuova amministrazione americana di mantenere una linea dura nei confronti del Cremlino. Il gelo diplomatico si estende ora ben oltre i confini del Donbass, minando gli equilibri già fragili dell’alleanza transatlantica.
Il passo indietro sulle sanzioni e lo spettro della divisione
Alla vigilia del colloquio, erano circolate voci su possibili nuove sanzioni che Washington avrebbe potuto imporre alla Russia, anche per mantenere una posizione coerente con le pressioni europee. Ma nella telefonata Trump avrebbe escluso questa ipotesi, generando un senso di smarrimento tra gli alleati. Per Volodymyr Zelenskyj, che pure si dichiara disponibile a riaprire il dialogo con Mosca, l’atteggiamento del presidente americano rischia di giocare a favore della strategia putiniana: “Sta solo guadagnando tempo per continuare la guerra”, ha commentato. Intanto l’Unione Europea e il Regno Unito, in risposta allo stallo diplomatico, stanno valutando nuove misure economiche in autonomia, nel tentativo di non lasciare campo libero alla Russia sul piano delle pressioni internazionali.
Meloni tra diplomazia e simbolismo: la chiamata al Vaticano
In questo clima confuso, Giorgia Meloni prova a costruire una rete autonoma di interlocuzioni. Ha sentito il presidente ucraino Zelenskyj, il francese Emmanuel Macron, il britannico Keir Starmer, il tedesco Friedrich Merz e la presidente della Commissione Ursula von der Leyen. Ma soprattutto ha chiamato il Vaticano. Un gesto altamente simbolico, culminato nella disponibilità della Santa Sede a ospitare un nuovo tavolo negoziale. La telefonata a Papa Francesco – ribattezzata “Papa Leone” nei corridoi riservati della diplomazia – rappresenta una mossa che affonda le radici nella tradizione italiana di usare la neutralità vaticana come leva per la mediazione internazionale. Un tentativo di rilanciare Roma come capitale del dialogo in un’Europa politicamente fragile e sempre più disorientata.
L’Ucraina resiste, ma la diplomazia perde slancio
Sul terreno, la guerra continua. Kiev resiste e riorganizza le difese, ma le prospettive di un negoziato reale sembrano allontanarsi. Il messaggio che arriva da Washington – ambiguo, privo di durezza – è un colpo all’architettura diplomatica faticosamente costruita in oltre due anni di conflitto. L’atteggiamento di Trump potrebbe segnare un’inversione di rotta pericolosa: non tanto per ciò che dice esplicitamente, quanto per quello che tace. E le diplomazie europee, abituate a una guida americana muscolare e assertiva, si trovano ora a dover riformulare strategie senza più certezze sulla linea di comando occidentale.
Una nuova era diplomatica o il ritorno all’ambiguità?
Il rischio, per l’Europa, è quello di un ritorno all’ambiguità degli anni prebellici, quando la realpolitik prevaleva sull’identità valoriale dell’Occidente. L’interlocuzione tra Trump e Putin, se davvero improntata alla deferenza come suggeriscono le ricostruzioni, lascia presagire un cambio di paradigma in cui il conflitto ucraino non sarà più il cuore pulsante della politica estera americana. In questo scenario, l’Unione Europea dovrà decidere se diventare soggetto politico autonomo o continuare a navigare a vista, preda delle oscillazioni atlantiche.