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Trump e il Babbo Natale “infiltrato”: la paranoia va in linea diretta

- di: Bruno Coletta
 
Trump e il Babbo Natale “infiltrato”: la paranoia va in linea diretta
Trump e il Babbo Natale “infiltrato”: la paranoia va in linea diretta

Dalla magia del NORAD Santa Tracker alla frontiera mentale: quando perfino la slitta diventa un problema di sicurezza nazionale.

La scena, sulla carta, è più zucchero filato che geopolitica: vigilia di Natale, bambini al telefono, la domanda eterna (“Dov’è Babbo Natale?”), la risposta tecnologica (“Lo stiamo seguendo sul tracciamento del NORAD”). Poi però entra in linea Donald Trump e, con una frase che sembra una battuta ma suona come un riflesso condizionato, sposta l’asse: Babbo Natale sì, ma sotto controllo. Perché bisogna essere certi che non sia “cattivo”, che non sia un “infiltrato”.

La politica che si infila nella fiaba non è una novità. La novità è il tono: il lessico della sorveglianza, della minaccia e dell’“infiltrazione” viene applicato a un personaggio natalizio. E il cortocircuito diventa immediato: se perfino il simbolo più universale del dono deve passare un check di affidabilità, allora non è più solo folklore. È una postura.

Che cosa è successo, esattamente

Durante le tradizionali telefonate natalizie legate al NORAD Santa Tracker, Trump e Melania Trump hanno risposto a diversi bambini che chiamavano per sapere dove si trovasse Babbo Natale e quando sarebbe arrivato nelle loro città. In almeno una chiamata con bambini dell’Oklahoma, alla domanda sul perché lo stessero tracciando, Trump ha risposto in sostanza: lo facciamo per assicurarci che non ci sia un “Bad Santa” che prova a infiltrarsi nel Paese, salvo poi rassicurare che Babbo Natale è “buono” e che porterà i regali.

Il dettaglio è importante: la rassicurazione c’è. Ma è preceduta dall’evocazione del nemico. È una tecnica antica quanto la propaganda moderna: prima si crea l’ombra, poi si vende la luce.

Il NORAD Santa Tracker: una tradizione nata per caso, diventata rituale globale

Il paradosso è che il NORAD Santa Tracker nasce come storia di gentilezza burocratica: un numero telefonico sbagliato a metà anni Cinquanta, bambini convinti di chiamare Babbo Natale, un ufficiale che non li liquida e trasforma l’errore in un rito. Da allora, ogni 24 dicembre, l’organizzazione aggiorna la posizione della slitta con radar, satelliti e volontari che rispondono alle chiamate.

Il punto non è la precisione scientifica del “tracciamento”, ovviamente: è la liturgia. Una delle poche occasioni in cui una struttura militare, nata per difendere lo spazio aereo nordamericano, gioca a fare il custode della magia. Proprio per questo, quando l’evento viene “ri-militarizzato” nel linguaggio, l’effetto è dirompente.

Non è solo una battuta: perché la parola “infiltrato” pesa

“Infiltrato” è una parola che appartiene a un campo semantico preciso: confini, sicurezza, controllo, nemici interni. È la parola che trasforma un viaggio in una violazione e un arrivo in una minaccia. Messa accanto a Babbo Natale produce comicità, sì. Ma anche un messaggio implicito: il mondo fuori dalla porta è sospetto.

In questa chiave, la gag natalizia diventa un micro-manifesto: l’America descritta come fortino, con il compito di filtrare chi entra, perfino quando entra portando regali. È il “frame” che si ripete da anni: la frontiera come ossessione simbolica prima ancora che come infrastruttura.

Le altre “incursioni” politiche nella telefonata

Secondo resoconti giornalistici della serata, nelle chiamate sono comparsi anche altri inserti fuori tema: elogi a stati “amici”, rivendicazioni sullo stato del Paese e persino la digressione sulla “clean, beautiful coal” quando un bambino dice di non voler trovare carbone come regalo. Sono frasi che, sommate, restituiscono l’impianto: la conversazione con i bambini non resta mai soltanto conversazione con i bambini. Diventa palco.

Questo non significa che ogni parola sia un comizio. Significa qualcosa di più sottile: la necessità di non dismettere la maschera politica nemmeno nell’ora più neutra dell’anno. Il risultato è una vigilia in cui la fiaba viene usata come scenografia e la paura come colonna sonora di fondo.

Un déjà-vu: quando Trump “misura” la magia

Chi segue queste telefonate ricorda un precedente diventato virale: anni fa Trump chiese a una bambina se fosse ancora “credente” in Babbo Natale, osservando che a una certa età la cosa è “al limite”. Anche lì, il punto non era la cattiveria. Era l’istinto a trasformare un rito infantile in un test, una verifica, un controllo.

Nel 2025 il controllo cambia forma: non più “credi o non credi”, ma “sei buono o sei un infiltrato”. Il salto è tutto politico. Ed è qui che la risata smette di essere innocente.

La cornice più ampia: l’America-fortezza e la paura come collante

Questa storia funziona perché è grottesca. Ma resta in piedi perché è coerente con un clima: l’idea che ciò che è diverso sia per definizione pericoloso, che l’alterità vada neutralizzata prima ancora di essere capita, che la complessità si governi con un filtro binario: dentro/fuori, amico/nemico, puro/contaminato.

È qui che l’America smette di apparire “guida” e si racconta come “assedio”. E quando la nazione più potente del pianeta si rappresenta così, l’effetto non è solo interno. È un messaggio al mondo: non vi seduco, vi respingo. Non vi convinco, vi tengo lontani.

La telefonata natalizia, allora, è una miniatura. Un frammento. Ma dentro quel frammento c’è una cifra: l’uso della paura come linguaggio universale. Anche a quattro anni. Anche a Natale.

Perché questa storia farà rumore

Perché è una frase perfetta per vivere sui social: breve, assurda, simbolica. Ma soprattutto perché rivela qualcosa di più di un umore: rivela una visione. In un’America dove perfino Babbo Natale rischia di essere trattato da sospetto, la magia non sparisce. Viene schedulata.

E a quel punto la domanda non è “dov’è Babbo Natale?”. È: che cosa resta di un Paese quando trasforma ogni racconto in un controllo?

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