Task Force Italia, Margheri: "L'energia è il cuore della ripresa sostenibile"
- di: Redazione
Uno dei limiti da superare è l’assetto normativo italiano, molto
complesso da gestire, che produce tempi lunghi e poca certezza
per gli investitori. Parla Marco Margheri, Usa International Relations Office Svp di Eni, Presidente del Wec Italia e coordinatore
del Tavolo di lavoro di TFI sull’energia.
Dottor Margheri, lei è membro di Task Force Italia ed è uno
dei due coordinatori del Tavolo di lavoro sull’energia. Cosa
l’ha spinta ad aderire a TFI? Qual è a suo parere il valore
aggiunto al Paese che può derivare da questa importante
iniziativa?
Task Force Italia è un team composto da tanti amici che mi sembra abbia preso da subito la direzione giusta: data l’eccezionalità del momento, dettata da questa pandemia, c’è la necessità
di costruire anche dei tavoli sui quali poter scambiare opinioni
e renderci conto quale sia la scala dello sforzo che noi tutti dobbiamo fare. Questa piattaforma serve proprio in chiave positiva
per parlare di soluzioni e di come rilanciare la struttura economica e non solo del nostro Paese, oltre a cercare di comprendere le leve da utilizzare per far sì che la pandemia non costituisca solo un’esperienza traumatica e terribile, che purtroppo
stiamo ancora vivendo, ma che possa essere anche un momento di discontinuità con il passato per permettere una ripresa
ed uno sviluppo instradato su binari nuovi e a prova di futuro.
Credo fortemente che la Task Force Italia possa offrire un valore
aggiunto molto importante anche per quanto riguarda il tavolo
sull’energia. La ripartenza dopo la pandemia non deve essere un
ritorno al punto dal quale si è partiti, ma deve essere necessariamente un percorso per mettere il paese in una direzione più
resiliente e più sostenibile.
Quali sono le priorità finora individuate dal Tavolo di lavoro di TFI sull’energia? Lei ha parlato di “assoluto bisogno
di un quadro istituzionale che assicuri semplificazione, coordinamento tra i diversi livelli decisionali, velocità e certezza dei tempi”.
Nel tavolo di lavoro finora abbiamo parlato di tre aspetti fondamentali: la rilevanza dell’energia nel contesto di ripresa post-pandemia; le competenze nel settore energetico del nostro Paese;
come il sistema energetico possa essere una leva di rilancio economico in Italia e non solo.
Per quanto riguarda il primo aspetto, l’energia è il cuore di questo
percorso di ripresa sostenibile e a prova di futuro del nostro Paese: tutto il complesso degli investimenti e delle necessità di sviluppo in campo energetico debbono essere messe al centro dei piani
di ripresa e devono essere al centro dell’azione italiana, non solo
entro i confini nazionali, ma sono anche un vocabolario necessario che l’Italia deve condividere con i suoi partner europei, con gli
Stati Uniti e, in generale, con i partner internazionali.
Guardando al patrimonio italiano del settore energetico troviamo, infatti, un settore molto competente, con enormi capacità
industriali e ricco di credibilità internazionale su tutte le filiere
delle energie storiche e delle nuove energie, con tanti attori capaci di partecipare ad un percorso di transizione energetica e di
sostenibilità per il rilancio dell’economia.
È chiaro a tutti che il sistema energetico, per diventare una leva
di rilancio economico, deve rappresentare una piattaforma di
investimento sostanziale e rapida e, in questo, il nostro sistema
registra delle grandi difficoltà a causa soprattutto di due elementi
principali: il primo è una sovrapposizione di livelli decisionali molto forte tra autorità centrali ed amministrazioni locali e questo
accade in un segmento di mercato nel quale, al contrario, dovrebbe esserci armonia di livelli decisionali e gli obiettivi dovrebbero
essere chiari, con un percorso fluido tra le politiche nazionali e le
capacità di autorizzare e promuovere investimenti a livello territoriale. Il secondo aspetto che crea dei limiti è l’assetto normativo
italiano, oggettivamente ormai molto complesso da gestire, che
produce tempi lunghi e poca certezza per l’investitore.
Abbiamo analizzato valutazioni di impatto ambientale che sono
proseguiti per anni e abbiamo riscontrato procedimenti amministrativi andati anche a buon fine, ma che poi sono stati cambiati
dopo l’avvio dei lavori.
Questi ritardi non sono più giustificabili e non possiamo permetterci di perdere tutto questo tempo. Abbiamo bisogno che il Recovery Fund ed il Piano nazionale di ripresa e resilienza siano
accompagnati da uno sforzo comune degli investitori per avere
buone idee e proseguire con velocità e, contemporaneamente,
abbiamo la necessità che le amministrazioni locali diano tempi
certi e modalità certe di esecuzione dei lavori agli investitori.
A mio avviso abbiamo identificato dei temi che sono stati anche
citati e compresi dalla politica e dalle istituzioni, sia dal governo
precedente con il Decreto semplificazioni, sia ovviamente dal governo attuale, con interventi molto chiari e mirati da parte del
Presidente del Consiglio Mario Draghi e dei Ministri Roberto Cingolani ed Enrico Giovannini il quale, essendo ministro delle Infrastrutture, ha chiaramente un forte interesse anche sull’energia.
L’agenda è stata identificata e delineata correttamente, adesso
occorre trovare le soluzioni.
Il settore energetico e le sue filiere industriali si candidano a giocare un ruolo centrale nella ripresa economica del
Paese. È davvero possibile che l’Italia possa avere grandi
opportunità nella sfida Next Generation Eu di orientare
la crescita europea in direzione della decarbonizzazione?
Insomma, a suo parere possiamo permetterci obiettivi ambiziosi ed essere capaci di raggiungerli nella tempistica
prevista?
Il nostro Paese si è prefissato degli obiettivi ambiziosi anche in
passato e li ha sempre raggiunti: possiamo discutere sul come, sui
dettagli, sulle tempistiche e su quali politiche avremmo potuto o
dovuto adottare, ma l’Italia, a modo suo, ha comunque dimostrato di sapersi dare degli obiettivi e anche di saperli raggiungere.
Personalmente ho la fortuna di essere da qualche anno il presidente del World Energy Council, ovvero una comunità che riunisce dalle istituzioni alle accademie e alle piccole e medie imprese fino a tutta la filiera energetica e, di conseguenza, ho uno
sguardo privilegiato su molti aspetti dell’Italia: noi abbiamo un
patrimonio di competenze, ricerca, capacità di innovazione e capacità industriale che è di primaria importanza a livello globale.
I nostri campioni nazionali lavorano con eccellenze straordinarie
in decine e decine di paesi nel mondo (dalle fonti rinnovabili, alle
energie storiche e nuove, agli investimenti più innovativi sulle
piattaforme digitali, alla fusione nucleare, sui biocombustibili e
così via): abbiamo delle filiere che sono capaci non solo di raggiungere obiettivi ambiziosi, ma anche di renderci più veloci nel
perseguirli.
La domanda, quindi, non è se l’Italia è in grado o meno di porsi degli obiettivi nella sfida Next Generation Eu, ma piuttosto su
quali sono i limiti presenti nel nostro sistema: abbiamo il difetto
di concentrarci troppo spesso su ciò che avviene nel nostro giardino o in quello del vicino piuttosto di concentrarci sul futuro verso
cui stiamo andando tutti insieme. Abbiamo un sistema che è talmente ricco di competenze e di capacità che possiamo e dobbiamo andare nella direzione giusta.
L’Italia nel settore energetico ha già definito il Pniec (Piano nazionale integrato energia clima). Che valutazioni dà
di questo Piano strategico? In altre parole, è adeguato o
occorrono dei cambiamenti?
Gli obiettivi del Pniec sono stati definiti in un processo molto lungo e complesso: si tratta di un piano che aumenta l’ambizione,
ma lavora su un patrimonio effettuato dalle strategie energetiche
nazionali precedenti ed è, quindi, un piano che è in continuità
con le scelte fondamentali intraprese dal nostro Paese verso la
transizione energetica e verso un’economia circolare e una dimensione sostenibile della produzione e del consumo dell’energia. Il quadro del Piano nazionale integrato energia clima è certamente protetto e la direzione è assolutamente corretta. Cambia,
ovviamente, il contesto internazionale, nel quale il rientro degli
Stati Uniti nell’accordo di Parigi sta dando alle valutazioni europee un’accelerazione importante su due aspetti: ambizione (oggi,
per esempio, si parla e si ragiona in ottica 2030 e non più di 2050)
e pragmatismo (per acquisire più velocità, dobbiamo capire e
sfruttare tutte le nostre risorse ed opzioni possibili).
Da questo punto di vista, il piano Pniec non è a mio avviso un
quadro appeso al muro, bensì un organismo vivente che si alimenta anche grazie al contesto internazionale nel quale l’Italia
deve operare.
Non ci dimentichiamo che l’Italia è co-presidente della conferenza
sul clima mondiale Cop26 ed è uno dei paesi guida sul dibattito
internazionale sulle politiche contro il cambiamento climatico:
Pniec, naturalmente, è anche il risultato di questa ambizione italiana.
Ha affermato che ci sono anche “importanti sfide di lungo periodo. Una, fondamentale, è quella della tecnologia
e dell’innovazione. Nella discussione di Task Force Italia
sono emerse molte filiere promettenti, nel settore delle
rinnovabili, delle batterie, della cattura e stoccaggio della CO2, dello sviluppo dell’economia dell’idrogeno, e altre
ancora”. Come precedere con queste potenzialità, cosa è
prioritario fare perché non si disperdano?
Nel lavoro del tavolo energia e di Task Force Italia abbiamo affrontato la riflessione riguardo gli interventi di breve e medio termine: la riflessione, che ho ritrovato anche nella prima audizione
in parlamento del ministro Cingolani riguardo le linee programmatiche, ha chiarito subito la necessità di accelerare sulle tecnologie che già possediamo e conosciamo. Se dobbiamo mantenere
una leadership italiana nell’efficienza energetica, sulla quale il
nostro Paese ha dei risultati davvero importanti, dobbiamo proseguire la linea di sviluppo sulle energie rinnovabili, sulle rinnovabili elettriche, sui biocombustibili ed aiutare lo sviluppo di queste
filiere in Italia.
Inoltre, è necessario raggiungere questi obiettivi in tempi veloci,
così come il Pniec ha prefissato (addirittura entro il 2025), soprattutto riguardo la riduzione del carbone nella generazione elettrica: l’Italia, oggi, produce una quota non elevatissima ma pur sempre significativa di carbone, che rappresenta proprio la principale
fonte di emissioni di gas serra. Occorre, di conseguenza, sostituire
queste centrali.
Il sistema energetico italiano ha una tabellina di marcia sugli investimenti che deve essere molto stringente e che va perseguita semplificando e velocizzando tutti i processi di autorizzazione
e di investimento. Come già delineato dal presidente Draghi, il
Piano nazionale di ripresa e resilienza deve generare da subito
conseguenze positive, ma anche guardare al futuro. L’agenzia internazionale dell’energia, a proposito di futuro, ci ha avvertito
che il 50% della riduzione di emissioni è possibile raggiungerla
tramite le tecnologie che abbiamo oggi a disposizione, ma il restante 50% non riusciremo a colmarla con le tecnologie disponibili fino al 2050 e qui giunge subito alla nostra attenzione una delle
risposte principali che dobbiamo dare già oggi. Ci sono tantissime
nuove filiere, citate anche dal ministro Cingolani, che vanno dalla
cattura e stoccaggio della CO2 allo sviluppo dell’idrogeno, come
le nuove filiere sul nucleare convenzionale e della fusione, i nuovi
biocombustibili, l’agricoltura e tanti altri centri sui quali dobbiamo cominciare ad investire in quanto, se l’Italia non comincia questo processo che Bill Gates chiama ‘i miracoli energetici’, rimarrà
sempre fuori da questo contesto.
Ci sono due dimensioni principali al momento: il piano della velocità e dell’attivazione degli investimenti, che possiamo perseguire
con le risorse che abbiamo ora disponibili, e poi c’è il piano di lungo periodo nel quale l’Italia, con il suo sistema energetico, deve
essere capofila delle grandi filiere per il futuro.