Tarquinia si presenta a Roma con l’ambizione di chi sa che il proprio passato non basta più a essere contemplato: va rilanciato, rimesso in volo. E proprio “La cultura è volo” è il titolo del dossier che domani, al Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia, verrà svelato come un manifesto programmatico, un atto di fiducia nel potere trasformativo della storia. Non una semplice candidatura amministrativa, ma un racconto identitario che punta a ridefinire la traiettoria della città e dell’intera Etruria meridionale.
Tarquinia alza la testa: la sfida per la Capitale della Cultura diventa battaglia d’identità
Dalle 10.30 alle 13, nella Sala della Fortuna, quella candidatura diventerà una dichiarazione pubblica di intenti. Sul palco, moderati dal giornalista Marco Sabene, si alterneranno amministratori, archeologi, dirigenti museali, progettisti: il sindaco Francesco Sposetti, la presidente della DMO Etruskey Letizia Casuccio, la rappresentante del Museo di Villa Giulia Luana Toniolo, il direttore del PACT Vincenzo Bellelli, e molti altri. Tutti a comporre un mosaico che vuole dimostrare come la cultura, quando ben governata, non sia solo un’eredità da proteggere, ma una leva politica e un motore economico.
Il patrimonio come spinta propulsiva
Tarquinia gioca una partita che ha il sapore di quelle sfide antiche che la città conosce bene. L’idea di fondo è chiara: trasformare il patrimonio archeologico e museale in una spinta propulsiva, capace di stimolare investimenti, attrarre flussi turistici e riattivare una filiera economica che va dal porto di Civitavecchia alle colline dell’entroterra.
Gli etruschi, che avevano fatto della visione un’arte, in questo progetto tornano a essere protagonisti. Non più figure di un passato immobile, ma antenati che indicano la rotta. E la rotta, secondo il dossier, non passa solo attraverso la tutela. Passa attraverso un ecosistema culturale in cui musei, siti Unesco, paesaggi agricoli, creatività contemporanea e infrastrutture dialogano. Un territorio che cerca un riscatto e lo chiede alla cultura, ma senza retorica: con l’ambizione di attrarre risorse, lavoro, attenzione mediatica.
Il contesto competitivo: l’Italia intera in corsa
Tarquinia non corre sola. La sfida per il titolo 2028 è affollata e vibrante, e non priva di tensioni tra territori che vedono nella cultura un’arma di visibilità nazionale. In campo ci sono Anagni, Pomezia, Catania, Forlì, Benevento, Fiesole, Vieste, Colle di Val d’Elsa, Massa, Moncalieri, Sarzana, Sala Consilina e molte altre città che spingono con forza. Una competizione che sa di ring nazionale, dove ogni città racconta la propria anima sperando che la giuria ne colga la potenza.
In questo scenario, Tarquinia vuole distinguersi non solo per la profondità storica del suo patrimonio, ma per l’idea di un territorio che si muove compatto, come una squadra che ha deciso di voltare pagina, di trasformare la cultura in politica di sviluppo e non in semplice narrazione romantica.
Una sfida che guarda oltre il 2028
Il titolo, se arriverà, sarà solo l’inizio. Lo sanno bene gli ideatori del dossier, coordinati da Lorenza Fruci, insieme alla destination manager Federica Scala e all’architetta Enza Evangelista. La strategia è quella di usare il 2028 come trampolino, non come traguardo. Un momento catalizzatore per ripensare infrastrutture culturali, progettare nuove forme di accesso, aggiornare gli strumenti digitali, rafforzare la rete museale e coinvolgere generazioni più giovani.
Nel racconto che domani prenderà forma a Villa Giulia, Tarquinia si presenta come città che non vuole restare schiacciata tra passato e marginalità. Una città che prova a sfondare la barriera dell’abitudine, a imporsi nel panorama nazionale con la forza della sua storia e la determinazione del presente.
La posta in gioco è alta: prestigio, risorse, investimenti, identità. Ma questa volta Tarquinia sembra convinta che sia arrivato il momento di giocare all’attacco.