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Tarantelli, l’economia contro le armi: 40 anni fa l’assassinio di un professore che aveva scelto il dialogo

- di: Cristina Volpe Rinonapoli
 
Tarantelli, l’economia contro le armi: 40 anni fa l’assassinio di un professore che aveva scelto il dialogo

Nel cuore degli anni Ottanta, quando le Brigate Rosse provavano ancora a colpire lo Stato con il piombo e l’ideologia armata, Ezio Tarantelli rappresentava esattamente ciò che quei gruppi volevano distruggere: un intellettuale che credeva nella riforma, non nella rottura. Un economista che lavorava sulla contrattazione, sui salari, sulle regole. Un docente che vedeva nell’università non un rifugio, ma un ponte tra ricerca, politica e società. Un uomo dello Stato che pensava che il conflitto potesse essere composto con strumenti razionali.

Tarantelli, l’economia contro le armi: 40 anni fa l’assassinio di un professore che aveva scelto il dialogo

Il 27 marzo 1985, mentre usciva dalla Sapienza di Roma, Tarantelli fu colpito a morte da un commando delle Br. Aveva 43 anni. Venne ucciso davanti agli occhi di studenti e colleghi. Era un bersaglio scelto. Le Br lo accusavano di essere il teorico della “concertazione”, un termine che oggi suona tecnico ma che allora significava – nella narrazione brigatista – l’inganno borghese del dialogo sociale. In realtà, Tarantelli stava tentando di salvare l’Italia da se stessa, proponendo un modello di crescita sostenibile, in cui le parti – sindacati, imprese, governo – non si ignorassero ma trovassero compromessi.

Un’idea riformista nel tempo della radicalità

La stagione del terrorismo non colpiva solo simboli istituzionali. Colpiva anche chi, pur non armato, esercitava un’influenza reale. Tarantelli era stato consigliere economico di Carlo Azeglio Ciampi, aveva collaborato con il ministero del Tesoro, era in dialogo costante con il mondo sindacale. Ma la sua influenza era più profonda: lavorava su un modello culturale. L’idea che il conflitto non fosse una guerra, ma una dinamica da regolare. Che il lavoro potesse essere al centro di una nuova stagione di stabilità.

Le Brigate Rosse lo sapevano. Per questo lo hanno colpito. Non solo per ciò che rappresentava, ma per ciò che poteva diventare: un punto di riferimento per una sinistra riformista e laica, una risposta civile alla crisi della rappresentanza, una terza via tra immobilismo e rivoluzione. Un bersaglio per chi aveva già scelto la violenza come linguaggio unico.

Il ricordo di Mattarella e il tempo che interroga

Oggi, a quarant’anni da quel giorno, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha definito Ezio Tarantelli “un martire del fanatismo ideologico”. Non è solo una commemorazione. È un richiamo a ciò che quel fanatismo può produrre quando trova spazio nel vuoto della politica e nella fragilità delle istituzioni. È un avvertimento per un Paese che troppo spesso dimentica. “La Repubblica – ha detto Mattarella – ne conserva la memoria con gratitudine e riconoscenza”.

Il figlio di Tarantelli, Luca, oggi è uno dei testimoni più intensi di quella memoria. Da anni racconta, scrive, elabora. Ha incontrato uno degli assassini del padre, ha cercato risposte non solo giuridiche, ma esistenziali. “Non ho dimenticato, ma ho scelto di non odiare”, ha detto in più occasioni. È una forma di resistenza anche questa. Un’eredità morale che affida alla parola il compito che il padre aveva assegnato all’economia: costruire coesione.

Un’Italia diversa, ancora da completare

Tarantelli apparteneva a una generazione di studiosi che credeva nella possibilità di trasformare il Paese dall’interno. Non erano ideologi, ma riformatori. Non avevano slogan, ma grafici, dati, proposte. La sua morte ha segnato una frattura. Non solo nella vita accademica. Ma nel progetto di un’Italia in cui la politica non fosse schiacciata dalla polarizzazione, in cui i conflitti fossero gestiti, non esacerbati.

Oggi, quella sfida è ancora aperta. Il dialogo sociale vive una stagione difficile. La precarietà ha sostituito il posto fisso come paradigma. Le parti sembrano spesso più lontane di quanto fossero quarant’anni fa. Eppure, la lezione di Tarantelli resta. La politica come mediazione. L’economia come strumento per ridurre le disuguaglianze. L’università come presidio di futuro.

Ezio Tarantelli non ha fatto in tempo a vedere quanto il suo lavoro sarebbe stato utile. Ma ha lasciato un modello. E in un tempo in cui i modelli scarseggiano, ricordarlo non è solo un dovere. È una necessità.

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