Il settore automobilistico si trova oggi ad affrontare una fragilità strutturale nella sua supply chain, emersa con prepotenza negli ultimi anni. La sua elevata dipendenza da forniture globali di materie prime, spesso concentrate in poche aree geografiche, lo rende particolarmente vulnerabile a shock esterni, siano essi pandemie, tensioni geopolitiche o disastri naturali.
La fragilità della supply chain dell’auto
Il primo, clamoroso campanello d’allarme è suonato all’indomani dell’epidemia di Covid-19, quando la disponibilità di semiconduttori, componenti essenziali per l’elettronica sempre più sofisticata delle automobili, è venuta improvvisamente a mancare. La crisi dei chip ha paralizzato le catene di montaggio di tutto il mondo, costringendo i produttori a ridurre drasticamente la produzione e causando perdite miliardarie. Sebbene la carenza di semiconduttori abbia colpito trasversalmente molti settori, l’Automotive ne ha sofferto in modo amplificato a causa della limitata capacità di influenzare le priorità produttive dei fornitori di chip rispetto a settori con margini più elevati come l’elettronica di consumo.
Ma la vulnerabilità del settore automobilistico non si è limitata ai semiconduttori; la carenza di materie prime è emersa ad esempio anche per i cablaggi elettrici, la cui produzione è stata interrotta in Ucraina a causa del conflitto. Questi episodi hanno mostrato una debolezza intrinseca della supply chain automobilistica, più esposta di altri settori come il farmaceutico o l’alimentare, che spesso gestiscono scorte maggiori o hanno supply chain più localizzate e meno dipendenti da un’unica fonte per componenti critici.
In questi giorni, una nuova e drammatica carenza è emersa: quella delle cosiddette terre rare, un gruppo di 17 elementi chimici metallici dalle proprietà uniche, fondamentali per una vasta gamma di applicazioni tecnologiche. La Cina controlla circa il 90% della raffinazione di queste terre, detenendo di fatto un quasi-monopolio sulla loro disponibilità. Queste materie prime sono cruciali per la fabbricazione di veicoli elettrici (EV), ma anche per i veicoli a combustione interna. In particolare, gli EV le utilizzano principalmente nei magneti permanenti dei motori elettrici. Anche nelle vetture a combustione, seppur in misura minore, le terre rare trovano impiego in catalizzatori per la riduzione delle emissioni, nella componentistica elettronica e in leghe speciali ad alta resistenza.
La Cina è un attore dominante nella produzione e raffinazione di molte altre materie prime essenziali nella produzione automobilistica, come ad esempio il cobalto, la grafite e il litio Sebbene non vi sia un controllo totale su tutte le materie prime, la sua influenza sui processi di raffinazione e sulla catena di approvvigionamento è innegabile e costituisce una leva geopolitica significativa.
Questa intrinseca debolezza del settore deriva anche dalla pratica del “just in time”, per cui le riserve di materie prime necessarie per gestire la produzione sono mantenute al minimo, riducendo i costi di stoccaggio ma aumentando l’esposizione a interruzioni. È interessante notare come Hyundai abbia dichiarato di possedere riserve di terre rare sufficienti per un anno, una mossa che va controcorrente rispetto alla logica del “just in time” e che suggerisce una maggiore consapevolezza dei rischi.
Come può rispondere l’industria automobilistica europea a questa situazione, anche alla luce delle recenti ritorsioni cinesi in risposta ai dazi degli Stati Uniti? È un dato di fatto che la Cina, negli ultimi vent’anni, ha strategicamente agito per raggiungere situazioni di quasi monopolio su molte materie prime critiche, mentre le industrie occidentali sono state di fatto disattente a questo fenomeno.
Esistono possibilità di nuove miniere di terre rare, come quella in Ucraina, su cui gli Stati Uniti hanno posto gli occhi e sarà fondamentale vedere come procederà l’esplorazione e lo sfruttamento di queste risorse, alla luce dell’instabilità geopolitica della regione. Sono stati poi scoperti altri giacimenti promettenti di terre rare, ad esempio in Svezia, a Kiruna. Tuttavia portare a regime l’estrazione da queste nuove miniere può richiedere una fase di avviamento di circa 10 anni, un lasso di tempo considerevole per un settore che ha bisogno di risposte immediate.
Quali sono quindi le possibili alternative per l’industria automobilistica europea?
1. La creazione di scorte strategiche, abbandonando parzialmente la logica del “just in time” per le materie prime più critiche (come sembra aver fatto Hyundai)
2. La crescita della capacità di riciclo delle materie prime dalle batterie per ridurre la dipendenza dall’estrazione primaria. Esistono già degli impianti avviati da Volkswagen e da Mercedes che riescono ad ottenere il 95-96% di recupero delle materie prime e altri costruttori (BMW, Stellantis e Renault) lo faranno a breve. Oggi il numero di EV che raggiungono il fine-vita è ancora limitato e questi impianti utilizzano soprattutto gli scrap di lavorazione, oltre alle batterie provenienti dai veicoli non elettrici, ma già nel 2030 è previsto possano fornire il 25% della domanda di litio.
3. Lo sviluppo di tecnologie innovative alternative che riducano o eliminino la necessità di materie prime critiche. Ad esempio sono già ampiamente utilizzate le batterie LFP che non contengono cobalto, materiale la cui estrazione è concentrata in Congo sotto il controllo della Cina. A breve arriveranno anche batterie al sodio che fanno a meno del litio, un’altra materia prima critica. In questa direzione i motori elettrici che non utilizzano magneti permanenti a base di terre rare (ad esempio le nuove piattaforme elettriche di BMW) possono rappresentare un’alternativa
4. La spinta alla ricerca e lo sviluppo di tecnologie di estrazione, raffinazione e riciclo all’interno dell’UE per creare una maggiore autonomia strategica.
In conclusione, la fragilità della supply chain automobilistica è una sfida complessa che richiede una risposta multiforme e strategica. Non si tratta solo di affrontare una carenza temporanea, ma di ripensare un modello produttivo che per troppo tempo ha trascurato i rischi geopolitici e la concentrazione delle fonti di materie prime critiche. La resilienza della supply chain diventerà un fattore determinante per la competitività e la sopravvivenza dell’industria automobilistica occidentale nel lungo termine.