Lo Stato non sottovaluta le minacce anarchiche, ma non può averne paura
- di: Redazione
Un terrorista ''serio'' non annuncia mai la sua azione, perché, nei meandri della sua testa, ne vedrebbe in pericolo il suo fine. Quindi i vari annunci di attentati e vendette che, nelle ultime ore, si sono registrati a Bologna sono certamente presi in considerazione dalle autorità, ma certo non aumentano in modo esponenziale la preoccupazione per la sicurezza del Paese. Ma è abbastanza evidente che l'Italia si sente in pericolo, in concomitanza con l'ondata di attentati, intimidazioni e minacce che sembrano venire da quella che, forse troppo semplicisticamente, viene definita galassia anarchica. In pericolo non come gente comune, ma come Paese, fatto di Istituzioni, ma soprattutto di uomini. Probabilmente il nuovo clima che si avverte cancella quello che, negli ultimi decenni, si pensava dell'anarchia, relegandola ad ruolo di mero movimento di pensiero, con un altissimo obiettivo morale, ma che spesso era in equilibrio tra posizioni diverse. Ma, finita l'epopea dei gesti isolati e personali (che avevano come obiettivo singoli uomini, considerati responsabili di qualcosa), l'anarchia era entrata in una dimensione di tolleranza, attiva e passiva, passando nell'immaginario collettivo per un gruppo di persone che, sceltosi un obiettivo, faceva di tutto per perseguirlo, magari con un po' di baccano o danneggiando qualche arredo urbano. Da qualche anno però questo profilo che era sostanzialmente di dissenso ha imboccato un'altra strada. Come attestato dagli atti - da lui ammessi e rivendicati - compiuti da Alfredo Cospito che, condannato, sta conducendo una sua battaglia contro il regime del 41 bis, subito cavalcata da chi, mafioso, 'ndranghetista, camorrista o anche terrorista, ha tutto l'interesse a generalizzarla per goderne di eventuali ammorbidimenti.
Lo Stato non sottovaluta le minacce anarchiche, ma non può averne paura
Però sarebbe un errore sottovalutare i segnali che arrivano da un'area che, negli ultimi tempi, da emblema dell'individualità di pensiero ed azione, sembra avere trovare in una ''regia'' comune lo strumento per portare avanti il suo messaggio. E' chiaro che, nel momento in cui in due città diverse e distanti centinaia di chilometri, si mettono a segno attentati contro obiettivi inequivocabili (autovetture di grandi gruppi industriali e di esponenti delle polizia locali), dietro c'è, oltre al fine comune, anche un apparato decisionale che indica come, dove e quando colpire. Ed è questo che deve indurre a prudenza nel giudicare quanto sta accadendo, senza esagerarne i contorni, ma nemmeno riducendolo a una pura esibizione di ''esistenza in vita''.
Gli attentati anarchici devono essere guardati con attenzione (come crediamo lo siano da parte degli organismi di sicurezza, ma soprattutto di intelligence) perché sono passati, come insegnano i processi e i proclami di Cospito, dal colpire il singolo - accusandolo di essere un futuro colpevole di un eventuale disastro nucleare - a volere attentare agli uomini delle istituzioni (come nel caso alla caserma dei carabinieri). In che direzione possa evolversi l'anarchia non è facile intuirlo, anche perché in essa non esistono - perché non possono esserci - soggetti da elevare a interlocutori, con cui avviare un dialogo, che magari non porta a nulla, ma che crea un'occasione di confronto. Per strano che possa apparire, fanno più sensazione (non paura: uno Stato non può averne) le micro-dimostrazioni intorno al carcere di Opera, dove è oggi recluso, ma soprattutto assistito Alfredo Cospito, che prosegue il suo sciopero della fame, che non le minacce affidate a lettere, messaggio o proclami di chi promette sangue in caso di morte dell'anarchico detenuto. Perché scegliere come bersaglio un carcere, che gli anarchici vorrebbero cancellare come istituzione, è una presenza fisica, tangibile, ben diversa dalle manifestazioni in piazza.