Una serata “di compagnia” tra cinema, tv e teatro: premi, voci, contrasti e una domanda che punge—che cosa tiene insieme oggi lo spettacolo italiano?
(Foto: i funerali di Monica Vitti a Roma).
Quando la tv rallenta, succede qualcosa
C’è un istante raro, in televisione, in cui la macchina smette di inseguire la prossima cosa.
Non perché non sappia correre: perché decide, per una volta, di stare.
È l’effetto che fa una serata come Il Vitti – Premio Monica Vitti quando funziona davvero:
non una passerella, ma una specie di camera d’eco in cui ogni volto porta con sé un pezzo di stagione italiana.
La terza edizione è arrivata su Rai1 nella notte di ieri, 23 dicembre 2025, dopo essere stata registrata
il 14 dicembre al Roma Convention Center “La Nuvola”.
Alla guida della serata, Claudio Guerrini e Angela Tuccia, con la regia di Guido Farò:
una conduzione a tono medio, scelta intelligente quando il vero protagonista è un nome che pesa.
Monica Vitti non è nostalgia: è un criterio
Dire “Monica Vitti” non significa solo evocare un’icona. Significa chiamare in causa un modo di stare in scena
che oggi manca spesso: popolare senza essere innocuo, leggero senza essere vuoto, riconoscibile senza diventare prevedibile.
È qui che il premio smette di essere celebrazione e diventa misura.
In altre parole: la Vitti non chiede reverenza. Chiede una risposta. Anche silenziosa, anche solo con una presenza
che dica: “Io, su un palco, ci credo ancora”.
Una compagnia di giro: generazioni diverse, lo stesso mestiere
Il cast dei premiati sembra costruito con un’idea precisa: mettere assieme linguaggi e decenni come in una
compagnia di giro, dove la differenza non è un problema ma il motore della serata.
Paola Cortellesi porta in dote la solidità di chi ha trasformato il consenso popolare in credibilità,
senza scorciatoie e senza travestirsi da “seria” per farsi prendere sul serio.
Loretta Goggi è la continuità che resiste: attraversa le epoche con la disciplina di chi sa che la tv,
se vuole, può avere dignità. E Iva Zanicchi rimette in circolo una fisicità generosa, quasi “fuori moda”
in un tempo che tende a ridurre lo spettacolo a posa e algoritmo.
Dal lato cinema e palcoscenico arrivano le asperità utili:
Marco Giallini con quella ruvidità che non si pettina,
Giorgio Pasotti con una misura classica da artigiano,
Enrico Montesano come memoria vivente di una comicità che, quando era viva, sapeva anche disturbare.
Accanto a loro, Paola Minaccioni e Ilenia Pastorelli fanno un altro lavoro ancora:
spostano il baricentro, ricordano che esiste un modo di stare in scena meno patinato e più laterale,
ma necessario.
A cucire il contrappunto contemporaneo ci sono Chiara Francini, con una cifra ironica che spesso vira al letterario,
e Paolo Ruffini, volto di una tv che prova a tenere insieme leggerezza e intenzione.
E poi Noemi, presenza musicale che allarga la cornice: perché lo spettacolo italiano, quando è vero,
non sta mai in un recinto solo.
Nel gruppo dei premiati compaiono anche Maurizio Casagrande, Marisa Laurito e Fabia Bettini:
tre traiettorie diverse che aiutano a leggere il premio come un mosaico più che come una classifica.
Il Vitti d’Oro: un oggetto che racconta una storia
In un’epoca in cui i premi spesso sembrano soprammobili, qui l’oggetto prova a dire qualcosa.
Il Vitti d’Oro 2025 è stato ripensato dai maestri orafi Michele e Antonio Affidato partendo dal volto di Monica Vitti
(da un disegno dell’artista Patrizia Bernardi): una scultura in argento con parti dorate e, alla base,
una pellicola cinematografica stilizzata.
Tradotto: la memoria non viene imbalsamata, viene rimessa in moto.
Il premio, letteralmente, si appoggia sul cinema.
Gli omaggi musicali e il senso della serata
Il rito funziona quando non si limita a commemorare, ma prova a evocare un clima.
In scaletta sono entrati anche momenti musicali pensati come omaggio, con esibizioni che hanno puntato più
sull’emozione che sull’effetto speciale: una scelta coerente con l’idea di una Vitti “fantasma gentile”
che non ruba la scena ma la illumina.
E qui arriva la domanda che resta appesa, tra un intervento e l’altro: che cosa tiene insieme oggi lo spettacolo italiano?
L’impressione è che non bastino più le etichette (cinema, teatro, tv), e non basti nemmeno la nostalgia.
Serve un filo diverso: l’identità di chi sta sul palco, la responsabilità di un mestiere,
la libertà di non diventare prevedibili.
Perché questo premio interessa più del premio
Il punto non è l’elenco dei nomi: è l’idea che lo spettacolo—quando non si vergogna di sé—possa ancora essere una
conversazione pubblica. Non un trend. Non una gara di simpatia. Una conversazione.
Il Vitti riesce quando smette di essere “serata evento” e diventa specchio.
E in quella notte su Rai1, per un tempo limitato ma reale, la televisione pubblica ha fatto una cosa non scontata:
ha avuto il coraggio di guardarsi dentro.