Scherzo telefonico a Giorgia Meloni: la premier è parte lesa, non certo imputata

- di: Redazione
 
Amore e guerra fanno parte del ristrettissimo club dove tutto è permesso per raggiungere un obiettivo. Ma ora anche la politica entra ufficialmente in questo ambitissimo novero, perché usa tutti i mezzi per ottenere un risultato che, inevitabilmente, è il discredito dell'avversario. Ma c'è un limite, invalicabile: il rispetto per la verità.
Cosa che è mancata in queste ore, quando è venuto fuori che Giorgia Meloni è entrata nel mirino di due comici russi (ma anche su questa definizione ci sarebbe da discutere, perché per le sue imprese il duo Vovan e Lexus, al secolo Vladimir Kuznetsov e Aleksej Stoljarov, ha bisogno di una struttura che, da solo, ben difficilmente potrebbero mettere in piedi). Vovan e Lexus l'hanno ingannata, spacciandosi telefonicamente per un esponente dell'Unione Africana, e dialogando con lei di molti temi, alcuni anche delicati...

Scherzo telefonico a Giorgia Meloni: la premier è parte lesa, non certo imputata

Dando atto ai due comici che lo scherzo è perfettamente riuscito (il presidente del Consiglio sembra non avere avuto nemmeno un lontanissimo sentore che chi le stava chiedendo lumi sulla politica internazionale italiana non fosse chi sosteneva di essere), il buonsenso doveva imporre che, se c'era da alzare un polverone, da esso fosse ''salvata'' Giorgia Meloni che, di questa burla, è parte offesa.
Ed invece contro di lei e contro il governo si è alzato un fuoco di sbarramento, per impedirle anche di dire la cosa più ovvia: cosa c'entro io se qualcuno, preposto a filtrare ogni contatto dall'esterno con me, mi passa una telefonata o mi mette in contatto con qualcheduno che chiede di parlare con me?

Il nodo di questa vicenda, che resta comunque incredibile, è la superficialità con cui certi delicatissimi incarichi vengono interpretati, spesso riducendo ruoli importantissimi a semplici funzioni di raccordo e mai invece, per come dovrebbero essere e per le quali sono pagati, di controllo preventivo per evitare di esporre il capo del governo non tanto a brutte figure, quanto a veri e propri pericoli per la Repubblica, la sicurezza nazionale, il ruolo nello scacchiere internazionale.
In ogni caso Giorgia Meloni, nel colloquio con il fantomatico diplomatico africano, non ha detto nulla di nuovo o diverso da quelle che sono le tesi che sostiene, da sempre e non certo dagli ultimi giorni, su temi importanti, quali la guerra in Ucraina, le tensioni in Medi Oriente, il dossier emigrazione.

Parole in totale coerenza con quelle pronunciate in altre e certamente più prestigiose sedi, che non una telefonata.
Quindi, dove sta lo scandalo politico in quello che deve essere ridotto ad un episodio di ''sciatteria'' organizzativa e di controllo da parte di chi ha il compito di tutelare il premier e, quindi, di porlo a riparo di sorprese sgradevoli?
Questo non è accaduto e qualcuno ne dovrà pagare le conseguenze.

E questo qualcuno non può essere in alcun modo Giorgia Meloni che dovrebbe essere - chi potrebbe mai darle torto? - letteralmente imbestialita per essersi trovata in una posizione scomoda, ma che è frutto solo dall'approssimazione di qualcuno di cui si fidava. Qualcuno che, senza tanti giri di parole, ha tradito la sua fiducia.
Anche se rischiamo di essere ripetitivi, il testo della telefonata nulla di più dice rispetto alla posizione ufficiale dell'Italia, non esponendo il presidente del consiglio a qualche critica ad esempio nei rapporti con gli alleati.
Anche se quanto accaduto è certamente gravissimo (avendo evidenziato una intollerabile falla nell'apparato che deve tutelare il capo del governo), non può essere certo preso come innesco di una polemica che è e resterà sterile.
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