Ma la satira, per essere incisiva, deve essere necessariamente volgare?

- di: Redazione
 
Qualche decennio fa la satira - guai se non ci fosse, perché è il termometro della libertà di esprimere il proprio pensiero, soprattutto quando è in dissenso - viveva stagioni esaltanti perché si era compreso che, a volte, il tratto di una matita può accompagnare, dandole forza inaspettata, la critica verso chi sta sopra, dirige e comanda.
In Italia la tradizione c'è da tempo, ma, essendo essenzialmente uno strumento per fare politica e, solo talvolta, per affidare ad essa messaggi di contenuto sociale, essa è colpevolmente stata confinata, collocata in un ambito ristretto, come qualcosa che induce al sorriso o poco più.

Ma la satira, per essere incisiva, deve essere necessariamente volgare?

In altri Paesi non è stato così. In Francia - ma è solo il primo esempio che ci sovviene - c'era un disegnatore, Tim, a partire degli anni a cavallo tra i '6' e i '70 del secolo scorso, che da solo valeva il costo del giornale, Le Monde, che l'intellighenzia transalpina comprava per sapere come la pensasse il mondo laico, liberale e progressista.
Tim, al secolo Louis Mitelberg (Lejzor, il suo vero nome), un ebreo d'origine polacca, con una vita che definire affascinante ed avventurosa non gli rende merito, era un vignettista - lo si potrebbe definire riduttivamente così -, ma anche un illustratore e uno scultore. Ma tutto quello che faceva al di fuori delle sue vignette è nascosto dalla genialità che lo caratterizzava e che si traduceva nel fustigare i potenti di turno, senza fare sconti.
Ma, ed è qui il cuore del nostro ragionamento, mai offendendo, mai travalicando il sottile confine tra l'espressione di una critica e il rispetto della persona del ''criticato'', chiunque fosse. Nella maggioranza dei suoi disegni è difficile distinguere il vignettista dall'artista, grazie anche ad una capacità di raccontare, in una sola immagine, quanto ai giornalisti richiedeva centinaia di righe.

Alcune (forse molte, ad onore del vero) delle sue opere restano un caposaldo del genere, sempre caratterizzate da un eleganza del tratto, certamente figlia degli studi in architettura. Una eleganza che resta intatta pure oggi, anche a distanza di anni (nato nel 1919, è morto nella ''sua'' Parigi nel 2002).
Come un Pompidou nudo, mollemente adagiato, che, in pieno delirio da ''force de frappe'', guarda verso il suo membro, dipinto come un fungo atomico; come un Richard Nixon, travolto dallo scandalo del Watergate, che ha una cuffia alle orecchie collegata con dei fili alle 50 stelle della bandiera americana; come un Paolo VI che, novello Sisifo, mentre infuocavano le polemiche sull'uso dei concezionali, spinge verso la cima di una montagna non un masso, ma una enorme pillola.

Oggi, forse, quel modo di ritrarre, con ironia, i ''potenti'', quale che sia il loro campo di ''azione'', non c'è più. O, sarebbe più corretto dire, che c'è un modo di fare satira che affila la grafite con un temperamatite fatto di volgarità, spesso gratuita. Ciascuno è padrone di dire tutto e magari, un istante dopo, l'esatto contrario, ma nel rispetto delle persone, soprattutto se esse sono estranee a polemiche o diatribe.
Come nel caso di Arianna Meloni, ascoltata consigliera del presidente del Consiglio, presa pesantemente di mira da una vignetta. Una sorta di attacco trasversale, di cui, oggettivamente, si sentiva poco il bisogno e che trova giustificazione nel fatto che, oltre a essere sorella di Giorgia, Arianna Meloni è la moglie di Francesco Lollobrigida, sotto attacco mediatico per alcune affermazioni. Che potrebbero giustificare delle critiche, ma che dovrebbero essere rivolte a lui, anche sotto forma di corrosiva critica. Ma allargare il campo dei bersagli anche ad altri - come in questo caso - è forse il peggiore servizio che si fa al diritto di critica.
Se poi vogliamo parlare di buongusto, allora allarghiamo il campo alla sensibilità del vignettista che per essere incisivo non necessariamente deve parlare o disegnare organi sessuali, ammiccando a tutto l'armamentario degli stereotipi (il maschio nero oggetto del desiderio delle donne bianche perché garanzia di...fermiamoci qui).

La politica, però, ormai si fa anche così, non volendo andare a ripescare dei titoli di giornali di area vicina a quella della maggioranza che sanno andarci pesante. Ciascuno, comunque, fa il suo mestiere, a patto che ci sia onestà mentale. Perché non regge nemmeno il detto di parlare a nuora perché suocera intenda, dal momento che Arianna Meloni non fa politica attiva, pur essendo uno dei riferimenti della sorella.
Basta questo per dire che potrebbe essere (lei, come tutti quelli che si trovano nelle sue stesse condizioni) lasciata in pace?
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