Bastava un gesto di cortesia, un saluto tra diplomatici, per accendere l’ennesima polemica italiana. Matteo Salvini, vicepresidente del Consiglio e ministro delle Infrastrutture, è finito al centro del dibattito politico dopo aver incontrato l’ambasciatore russo Alexey Paramonov durante un ricevimento organizzato dall’ambasciata cinese a Roma.
Salvini e la stretta di mano russa, il caso diplomatico in salsa italiana
Un’occasione mondana, sulla carta, trasformata in arena di scontro: per i critici, l’immagine del leader leghista accanto al rappresentante di Mosca stride con la linea ufficiale di sostegno a Kiev; per Salvini, invece, si tratta di “normale diplomazia”.
La replica del leader leghista
Il ministro non ha atteso a rivendicare la sua versione: «Ho incontrato l’ambasciatore russo come decine di altri ambasciatori. Se vai ospite a casa di qualcuno e qualcuno ti saluta, lo saluti». Poi la stoccata: «Preferisco una stretta di mano a uno sguardo rabbioso». La sua narrazione è quella di chi cerca di distinguere tra rapporti diplomatici e consenso politico: un saluto non equivale a un sostegno, ma a un gesto di buona educazione internazionale. Eppure, in un’Italia in cui ogni gesto legato alla Russia è scrutato come indizio di ambiguità, l’argomento rischia di non bastare.
Le reazioni dell’opposizione
Durissimo il commento del Partito democratico. Filippo Sensi, senatore dem, ha bollato la scena con una parola secca: «Vergogna». Per l’opposizione, l’incontro rischia di essere letto come una legittimazione della Russia di Putin in piena guerra contro l’Ucraina. L’episodio diventa così un grimaldello per attaccare Salvini sul terreno a lui più sensibile: la sua storica vicinanza, mai del tutto rinnegata, al Cremlino. Ogni stretta di mano diventa allora la prova di un’irriducibile ambiguità, utile a incrinare la credibilità del governo Meloni sul fronte internazionale.
Diplomazia parallela o normalità?
Il nodo politico resta sempre lo stesso: quanto spazio c’è per la “diplomazia informale” in un Paese che fa parte della Nato, che vota pacchetti di sanzioni contro Mosca e che invia armi a Kiev? Per Salvini, mantenere aperti i canali non significa tradire la linea dell’alleanza occidentale, ma preparare il terreno a un futuro dialogo. Una visione che ricalca la sua postura di lungo corso: no alla guerra “ad oltranza”, sì al negoziato. Ma proprio questa postura stride con la linea dura che la premier Giorgia Meloni ha sempre difeso nei consessi internazionali.
L’eco oltreconfine
Se in Italia la vicenda è carburante per polemiche domestiche, all’estero il messaggio rischia di essere meno sfumato. Un vicepresidente del Consiglio che si intrattiene con il rappresentante di Mosca, anche solo per una foto, può essere letto come segnale di divisione interna al governo italiano. E in un momento in cui l’Unione europea cerca compattezza, l’immagine ha un peso politico che supera i confini della mondanità diplomatica. In questo cortocircuito tra rituali di etichetta e letture politiche si gioca la partita: la politica estera, oggi più che mai, si misura anche in un gesto, in una mano tesa o ritratta.