Matteo Salvini, chiamando a raccolta i movimenti e i partiti della destra estrema europea, ha lanciato la sua sfida per le elezioni che dovranno determinare la composizione del prossimo europarlamento e, quindi, quale sarà il ''colore'' della futura commissione.
Una sfida che, necessariamente, lo porta a confrontarsi, su piani diversi, con i suoi alleati in Italia, ai quali ha chiesto una scelta di campo alternativa a quella odierna, dialogante con il Ppe e, quindi, con quella parte della politica europea che funge, innegabilmente (senza con questo esprimere nei suoi conforti una stima aprioristicamente incondizionata) da punto di equilibrio.
Salvini gioca la sua partita, in Italia e in Europa
Questa Europa, dice Salvini, non ci piace, ma intendiamo cambiarla dall'interno, avviando un processo di puro e semplice ribaltamento delle politiche comunitarie sin qui condotte.
Nessun problema ad esprimere idee, speranze e progetti. Solo che non si capisce ancora con quali legioni Salvini intenda andare alla conquista dell'Europa, una impresa che certo non può affrontare circondandosi, come ha fatto a Firenze, di formazioni e movimenti che hanno un Dna dichiaratamente di estrema destra, dove le tematiche del sovranismo sono sopraffatte da xenofobia e da islamofobia, da tesi care anche a qualche esponente del nostro governo (come la sostituzione etnica) e il comune odio nei confronti di George Soros, colpevole di tutto, ma veramente di tutto, incarnazione in Terra del male assoluto.
Si sa benissimo che qualsiasi guerra, per essere dichiarata, ha bisogno di un nemico. E Salvini e la sua partita di giro hanno scelto di puntare tutto, politicamente, ''contro'' e non ''con'' l'Europa. Anche se forse sarebbe meglio dire che il leader leghista è schierato contro un'Europa che porta avanti idee decisamente antitetiche rispetto alle sue, come, ad esempio, quella dell'accoglienza.
Ma questo schierarsi contro Bruxelles, la sua marea di burocrati e le scelte che si prestano comunque a critiche sta portando Salvini verso un punto di collisione con i suoi alleati di governo in Italia, che certo non possono condividere, ma è solo un esempio, una palese ''predilezione'' per Vladimir Putin e quindi ad una presa di distanza dall'Europa dichiaratamente pro-Ucraina.
Ma Giorgia Meloni (con Fratelli d'Itaia) e Antonio Tajani (con Forza Italia) la pensano in modo diverso, ripetendo, ribadendo, confermando la loro vicinanza a Kiev, aggredita, così come a Israele, dopo l'attacco di Hamas.
Dove potrebbe condurre questa guerra di logoramento che Salvini sta portando avanti, dopo avere fatto una scelta precisa, quella di abbracciare le tesi più oltranziste della destra europea?
Di certo, a meno di tentativo di colpi di mano, non a disassare l'esecutivo di Giorgia Meloni, non perché non lo si vorrebbe, ma per il semplice motivo che Salvini non ha i numeri. Forse potrebbe ritenere di averne dopo le elezioni europee, ma oggi non ce li ha e, quindi, deve stare un passo indietro rispetto al presidente del Consiglio. Una condizione che mostra, quotidianamente, di sopportare a stento, pur gridando a destra e a manca la sua fedeltà.