Il Regno Unito non è quello di chi devasta le città

- di: David Lewis
 
Guardando i notiziari televisivi o sfogliando i quotidiani, per chi non è inglese e vive la nostra realtà sarebbe facile dipingere il Regno Unito come un Paese sull'orlo non della guerra civile - come qualche imbecille cerca di fare pensare -, ma di un degrado che mai avremmo pensato di potersi manifestare in casa nostra.
Eppure le cronache ripetono, in modo quasi ossessivo, notizie di assalti a strutture che danno ospitalità ai richiedenti asilo, ma anche a studi legali che assistono gli immigrati nell'affrontare il difficile percorso amministrativo per ottenere la tanto desiderata autorizzazione a restare in Gran Bretagna.

Il Regno Unito non è quello di chi devasta le città

E a fare male sono le immagini che danno una rappresentazione non propriamente veritiera di quanto accade, che è una realtà minima, perché non è vero che il Regno Unito sia caduto nella spirale della violenza per la violenza, perché quei ragazzi (ma anche uomini maturi) ) che devastano, incendiano, aggrediscono, non sono ''noi'', non ci rappresentano, né tantomeno sono la maggioranza dei britannici.
E' una sparuta rappresentanza di quello che potrebbe essere definita la pancia del Paese, quella che vede in chi arriva da fuori un nemico, perché pensa che gli rubi il lavoro.

Vorrei dire loro che non è così perché molti degli immigrati occupano posti di lavoro che non non vogliono più fare e gli altri, quelli che salgono nella scala sociale, lo fanno per capacità proprie e non perché parlanono una lingua diversa dall'inglese o hanno un colore della pelle diversa dalla nostra.
Possibile che sia tanto difficile capire che la rabbia nelle strade con l'immigrazione c'entra poco?
È piuttosto la conseguenza di un malessere che va avanti da troppo tempo e che non aspettava altro che una miccia per scoppiare. Un malessere che, partito dalle periferie, si è allargato anche in città o quartieri che mai avevano vissuto lo shock della violenza urbana. Un fenomeno che sta assumendo un'ampiezza che la polizia ha forse sottovalutato o ha affrontato con strumenti che si sono dimostrati inefficaci. E sapere che solo nelle ultime ore si è deciso di impiegare seimila uomini addestrati a tattiche anti-sommossa se, da un lato, dà sollievo, dall'altro impone di perché chiedere perché siano passati tanti giorni da quando i primi guastatori sono scesi in strada per colpire i simboli della politica di accoglienza, in una giustizia di strada che non ha senso o giustificazione.

Né le parole del primo ministro Keir Starmer, che ha promesso il pugno di ferro giudiziario per la responsabilità dei disordini, rassicuri più di tanto.
Se a incendiare il Regno Unito è stata la strage di Southport, di cui hanno fatto le spese della follia di un ragazzo nero tre bambine, quello che è accaduto dopo non si può limitare a chi materialmente ha spaccato, bruciato, picchiato. Perché le manifestazioni a sostengo di coloro che hanno distrutto e malmenato hanno visto in strada molta gente, tante famiglie con bambini, con persone che marciavano avvolte nella nostra bandiera che, mai come oggi, viene sventolata per un fine che non è quello delle libertà di tutti.

E' scontato che quanto accade dà stimolazione a chi vuole speculare politicamente.
Come Nigel Farage, leader di Reform UK, secondo cui i disordini non sono altro che l'anticamera del caos. Eppure le statistiche raccontano una storia diversa, cioè che, rispetto a una generazione fa, la Gran Bretagna è una nazione con un basso tasso di criminalità e socialmente tollerante.
Eppure è bastato che, sulle messaggistica social, fosse veicolata la notizia che chi aveva ucciso a Southport fosse un richiedente asilo musulmano, arrivato nel Regno Unito in barca, per aprire le porte dell'inferno, alimentando quella subcultura tanto diffusa che ha come obiettivo la comunità islamica, su cui si sono riversate accuse di ogni tipo, come quella - che ingenera sempre un sentimento di paura - secondo cui essa è una minaccia per i bambini. Se poi c'è qualcuno che alimenta il ''doppio livello'' di attenzione della polizia, accusata di essere morbida nei confronti delle minoranza, il gioco dell'estrema destra è fatto. E a soffiare sul fuoco della rabbia ci sono anche gli strateghi delle false notizie, come quella che ieri rimbalzava incontrollata sui social, secondo cui il primo ministro Starmer aveva annunciato che gli arrestati durante i disordini sarebbero stati deportati nelle lontanissime Falkland.

Cosa resterà dell'immagine di un Regno Unito ''felice'' dopo che questa follia finirà?
Oggi è anche presto per dirlo perché bisognerà capire se chi si spende oggi a favore degli svantaggiati continuerà a tendere la mano o la ritrarrà per paura.
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