In Rai tira brutta aria, e non è un un modo di dire

- di: Bianca Balvani
 
È la maledizione del giornalista ambizioso, svegliarsi il mattino pensando di impegnare la giornata scrivendo magari di ''Gente di Dublino'' di Joyce o di parlare dello 'Stupor Mundi' e della sua attribuzione, per poi ritrovarsi a doversi occupare di cose terra terra. O, come nel caso di una strana inchiesta, che sta per arrivare in un'aula di giustizia, di una giornalista della Rai che chiesto alla Giustizia di porre rimedio a quella che, per lei, era una persecuzione da parte dei suoi capi. Sarà un giudice o un collegio a stabilire se le ragioni addotte dalla giornalista Dania Mondini siano fondate e quindi da accettare la sua tesi di essere stata perseguitata sul posto di lavoro con una strategia che di psicologia ha poco o nulla, fondandosi su altro. Ben altro.

In Rai tira brutta aria, e non è un un modo di dire

Ovvero che, per angariarla, i capi della giornalista (Filippo Gaudenzi, Marco Betello, Piero Felice Damosso, Andrea Montanari e Costanza Crescimbeni che, nel 2018, guidavano la 'cucina' quotidiana del TG1) l'avrebbero costretta a lavorare in una stanza da dividere solo con un altro collega. Il quale, dice Mondini, aveva e forse ha ancora problemi a governare le emissioni ''gassose'' del suo corpo. Cioè, tanto per evitare d'essere fraintesi, flatulenze e rutti. Confessiamo di non conoscere la metratura della stanza che Mondini e il suo collega dividevano, ma anche se fosse stata grande come la Reggia di Caserta, non dev'essere stato bello essere distratti, mentre si scrive un pezzo o si controlla un testo, dall'eco di scoppiettii di cui si conosceva bene la provenienza e quindi non si potevano scambiare, almeno nel periodo di Natale e Capodanno, per castagnole e tric-trac.

Che il collega con cui la giornalista divideva la stanza fosse di natura ''pirotecnica'' era risaputo in Rai, dove probabilmente non c'era la corsa a prendere il posto di Dania Mondini, anche se in cambi di una promozione. Ma questo è, e quindi la giornalista, ritenendosi sotto attacco (batteriologico....), ha deciso di chiedere alla Giustizia di porre rimedio alla addotta persecuzione. Anche perché, quando le fu comunicato che avrebbe dovuto condividere l'ambiente di lavoro con uno sganciatore seriale di peti e rutti e lei cercò di opporsi, sarebbe stata oggetto di una serie di azioni paragonabili a ritorsioni. Una tesi che, ovviamente, i suoi capi contestano con decisione.

I legali di Dania Mondini dicono di confidare ''nella giustizia e nell'operato della Procura Generale di Roma'', annunciano il silenzio stampa e ribadiscono di volere tutelare la loro assistita, ''sottoposta a situazioni stressogene da oramai 5 anni''. Questi sono i fatti (presunti) di ieri e di oggi. Ma, volendoci proiettare nel futuro, qualche domanda è scontata, come quella relativa a come il processo sarà celebrato.

Non è un interrogativo banale, perché, non potendosi solo basare sulla denuncia, come i giudici potranno avere cognizione dei fatti di causa senza chiamare a deporre il giornalista ''bombardiere''? E se sì, quale sarà il metro (cubo, trattandosi di gas), che sarà utilizzato perché la deposizione sia suffragata dall'evidenza? Sarà chiesto al teste se la sua patologia è realmente invasiva degli spazi e dell'aria respirabile da chi gli sta intorno?
In ogni caso, al di là della delicatezza e della singolarità della vicenda giudiziaria, crediamo che tutti - giudici, avvocati, querelante e imputati, cancelliere, commessi e carabinieri - siano accomunati da una sola speranza: che il processo non si celebri a porte chiuse...
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