Dal lutto alla retorica: accuse lampo, indagini annunciate e simboli di potere trasformano un delitto ancora oscuro in un processo politico.
Un delitto irrisolto che diventa subito battaglia politica. L’uccisione di Charlie Kirk è stata assorbita in poche ore dentro una narrativa che sposta il baricentro dall’accertamento dei fatti alla costruzione del nemico interno. In questo quadro, la Casa Bianca imprime una direzione: colpire la sinistra come categoria politica prima che le indagini definiscano un movente.
Il fatto di Orem
L’uccisione di Charlie Kirk, 31 anni, volto dell’attivismo conservatore e co-fondatore di Turning Point USA, è avvenuta il 10 settembre 2025 all’Utah Valley University di Orem, dove Kirk stava partecipando a un dibattito studentesco. Secondo la ricostruzione, un uomo ha sparato più volte davanti al pubblico, provocando il caos e la fuga dei presenti. L’autore sarebbe Tyler Robinson, 22 anni, fermato poco dopo dalla polizia.
Le autorità hanno recuperato un’arma e bossoli incisi con frasi di odio politico come “Hey fascist, catch!” e “Bella Ciao”. Sono stati rinvenuti anche messaggi su piattaforme online in cui il giovane parlava di armi e di come nasconderle. Tuttavia, a oggi il sospetto non collabora e il movente rimane oscuro. È stato sottolineato che il giovane mostrava posizioni di sinistra, ma non è stato stabilito se questa fosse la causa dell’attacco.
Trump anticipa i giudici
Donald Trump ha reagito immediatamente, senza attendere gli esiti delle indagini. Davanti ai giornalisti ha scandito: “Il problema che abbiamo è a sinistra” — Donald Trump. In altre occasioni, con toni più accesi, ha detto: “Abbiamo dei fanatici radicali di sinistra là fuori e dobbiamo prenderli a calci” — Donald Trump.
A stretto giro, è stata ventilata la possibilità di azioni legali in chiave RICO — norme anti-criminalità organizzata — contro presunti network che avrebbero fomentato odio politico: “Guarderemo a Soros… è un caso da RICO” — Donald Trump.
La macchina del potere
Alla narrazione politica si sono affiancati gesti simbolici di forte impatto: bandiere a mezz’asta in tutto il Paese, l’annuncio della Medaglia presidenziale della Libertà postuma a Kirk e la partecipazione personale di Trump alla commemorazione del 21 settembre a Glendale, Arizona, nello stadio dei Cardinals. Questi atti, legittimi in sé, concorrono a consolidare un racconto istituzionale in cui la vittima diventa martire nazionale e la sinistra l’imputato politico.
La forzatura logica
Il passaggio cruciale è questo: un gesto individuale, ancora privo di movente accertato, viene trasformato in prova implicita dell’esistenza di una rete radicale da colpire. È la sequenza tipica di una politicizzazione preventiva: si occupa lo spazio mediatico, si fissa il colpevole, si annunciano provvedimenti, spostando il dibattito dalla tragedia al nemico interno.
Reazioni della sinistra: “Un processo politico”
Numerosi esponenti democratici hanno denunciato la strumentalizzazione. Alexandria Ocasio-Cortez ha affermato: “Trump sta usando un omicidio per criminalizzare la sinistra. È un atto autoritario, non di giustizia” — Alexandria Ocasio-Cortez.
Bernie Sanders ha parlato di “pericolosa deriva da stato di polizia, dove si colpisce l’opposizione con il pretesto di un atto criminale individuale” — Bernie Sanders.
Organizzazioni per i diritti civili hanno messo in guardia: “Indagini basate su appartenenza politica, non su prove, sarebbero un abuso gravissimo” — ACLU.
Il fronte conservatore: Kirk come martire
Nel campo repubblicano la narrazione presidenziale è stata accolta con favore. Mike Johnson ha dichiarato: “Charlie Kirk è stato ucciso dall’odio di sinistra e noi dobbiamo rispondere con fermezza” — Mike Johnson.
L’ex governatrice dell’Arizona Kari Lake ha definito Kirk “un martire della libertà americana”, invocando “leggi speciali contro chi promuove ideologie antiamericane” — Kari Lake.
Tra i commentatori conservatori, Tucker Carlson ha accusato la cosiddetta “cultura woke” di avere armato l’assassino — Tucker Carlson.
La gogna sociale come anticamera
Parallelamente si sono moltiplicate campagne di intimidazione online: liste informali su social e forum con nomi di attivisti progressisti indicati come “complici morali” della violenza. In diversi casi si sono registrati ostracismo professionale, minacce e tentativi di isolamento sociale. È la trasformazione del sospetto individuale in colpa collettiva, con conseguenze concrete sulla vita delle persone.
Montatura o strumentalizzazione?
Parlare di “montatura” nel senso stretto di un complotto costruito non è corretto: non emergono elementi a sostegno. Ma parlare di strumentalizzazione è inevitabile. Il caso Kirk viene incanalato in un processo politico alla sinistra, dove simboli di Stato e annunci giudiziari precedono l’accertamento dei fatti.
La posta in gioco
Il caso Kirk non è solo un dramma individuale, né solo un atto di violenza politica. È un banco di prova su come il potere esecutivo possa orientare l’opinione pubblica: bandiere, onorificenze, minacce di azioni legali e parole incendiarie come strumenti per rafforzare la presa sul Paese.
La storica Jill Lepore osserva: “Il rischio più grande è la normalizzazione: quando un presidente trasforma il lutto in arma politica, la democrazia si abitua a vedere la giustizia subordinata alla propaganda” — Jill Lepore.